Lustrascarpe

Toglievano il fango e la polvere, passavano le pomate, spazzolavano e lucidavano le scarpe.
Seduti su un piccolo scranno si posizionavano in una via di passeggio con la cassetta degli attrezzi a lato, sistemavamo un pezzo di legno su cui far poggiare il piede del cliente e aspettavano i clienti invitandoli con il richiamo:


“ Pulizzamm!..Pulizzamm!”


Dopo aver tirato dalla cassetta, spazzole dure e morbide, lucido di diversi colori e panno per lucidare, iniziavano a pulire le scarpe, carezzandole amorevolmente come se avessero tra le mani una bella donna.

S’impadronivano del piede e ripulito del fango e della polvere lo ungevano con una mistura segreta, dopo aver lucidato una scarpa con un tocco leggero della spazzola sul tacco invitavano il cliente a porgere l’altro piede, senza parlare per non disturbarlo mentre leggeva il giornale.
Alla fine con una strofinata vigorosa con la seta di un vecchio ombrello, avvertivano che il lavoro era servito e ricevuto quel misero compenso, ringraziavano sorridendo.

Il lustrascarpe era un mestiere che molti ragazzi svolgevano nell’Ottocento e che ebbe un forte incremento nel dopoguerra con l’arrivo degli americani.

A Napoli nacquero i famosi “sciuscià” una deformazione dialettale dal termine inglese “shoeshine”. Un mestiere che rendeva pochissimo ma serviva a sfamare la famiglia e che De Sica ne immortalò l’esistenza nel 1946 con il film “Sciuscià” che vinse l’Oscar.

Un ricordo del passato, come tanti altri mestieri scomparsi, ma che restano patrimonio della nostra tradizione e della nostra cultura locale.
Qualche anno fa Napoli ha dato l’addio all’ultimo “sciuscià” Zì Tonino, punto di riferimento per i passanti e i turisti di tutto il mondo con il banchetto in via Toledo, a ridosso dei quartieri spagnoli e della galleria Umberto I.

Ormai sono pochissimi i lustrascarpe superstiti ma forse c’è sempre qualcuno che, come insegnano i nostri antenati, sa ancora trasformare e reinventare.

“SCIUSCIA’(shoeshine)” di Orazio Minnella

A tia ca allustri scarpi di la genti
e duni lucintizza cu pumata,
adduma lu to’ scuru di jurnata
e grapi lu to’ cori ca non senti.
Cunsigna a la svintura, ca è alliata,
li sogni beddi to’ nomu pi mittenti
cu ‘n francubullu senza locu e  data.
Si veni la furtuna, tali e quali,
facci li scarpi e non ci diri vai
e s’idda vola via, tagghici l’ali.
Non sai siddu la peddi resta vera
e ‘stu travagghiu ancora tu lu fai
o cerchi impiegu ‘nta ‘n’autra bannera!….

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