LA MEDIAZIONE PENALE MINORILE NEL NOSTRO SISTEMA GIUDIZIARIO E LE SUE CRITICITÀ.

Il sistema giudiziario italiano ancora oggi applica la cosiddetta giustizia retributiva, che considera la punizione come la giusta conseguenza ai reati commessi, ponendo al centro la trasgressione.  

Il problema si pone quando ci si trova dinanzi a minori responsabili di reati, per i quali questo tipo di giustizia può rivelarsi altamente lesiva del loro sviluppo psico-fisico. 

Se si guardano le esperienze dei paesi stranieri, come la Spagna, il Canada, la Francia, l’America, potremmo notare da subito che la punizione diventa trasversale al reato, poiché l’asse di interesse si sposta sul recupero educativo del minore, e la riparazione al danno procurato alla vittima, diventa presa coscienza degli errori commessi.

Del resto la Convenzione Onu n. 40, sui diritti dell’Infanzia, sancisce “il diritto del minore sospettato, accusato o riconosciuto colpevole di   aver commesso un reato ad un trattamento tale da favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo rispetto per i diritti   dell’uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto   della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella   società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima ”.

Appare di tutta evidenza che la figura del minore colpevole, si traduce in minore da tutelare, tenendo conto dell’età, della sua dignità e del valore personale.

Nel nostro ordinamento  il  D.P.R. 488/88 regola il processo minorile ispirandosi ai principi di adeguatezza, di minima offensività, di destigmatizzazione, di autoselettività e residualità della detenzione”

Benchè regolino l’approccio al minore reo al fine di preservare i suoi diritti e nel rispetto del suo stadio evolutivo, tenendo conto di tanti fattori, tra cui la gravità del reato commesso e della detenzione come rimedio residuale, resta di fatto che questo sistema “reocentrico”, taglia fuori la vittima, che non può costituirsi parte civile e dunque non può prendere parte al processo. 

Nel tempo ci si è resi conto che questa asimmetria ha spesso causato forme di avvilimento nella vittima. Un fenomeno assai ricorrente è infatti la cosiddetta vittimizzazione secondaria, ovvero quando la vittima è costretta dalle agenzie di controllo (medici, polizia, magistratura) a rivivere il dramma, dovendo dimostrare l’accusa. Possiamo considerarla di fatto una vera e propria aggressione, acuita dal fatto che la vittima è esclusa dal processo. 

Ed ecco che se da un lato c’è un minore da recuperare, dall’altro c’è una vittima esclusa nei fatti che la riguardano, ed è proprio in questa zona ibrida che si inserisce la mediazione penale minorile. 

La mediazione penale minorile trova una spiraglio nell’articolo 9 e articolo 28 del D.P.R. 488/88, che regolano gli istituti giuridici degli “accertamenti sulla personalità del minorenne” e la “sospensione del processo e messa alla prova”.

La mediazione può essere esperita sia prima del processo che durante, laddove occorra che emerga la personalità del minore e laddove ci siano i presupposti che incontrare la vittima possa essere un atto di consapevolezza del danno arrecato e la possibilità di recuperalo ristorandola con attività riparativa. Un esempio di giustizia ripativa italiana ci viene da Brescia, dove un gruppo di ragazzi writers avevano imbrattato dei beni di proprietà del Comune, tra cui alcuni plessi scolastici. Il ruolo della mediazione ha avuto efficacia tra le parti offese e gli autori del reato, ed ha portato ad un percorso condiviso: i ragazzi hanno eseguito lavori di pubblica utilità quali la pulizia di cartelli stradali e il supporto all’attività quotidiana di alcune biblioteche cittadine.

Nonostante il D.p.r 84/2015 abbia istituito un ufficio dedicato alla promozione della Giustizia riparativa e della mediazione penale, come approccio specifico e innovativo, ancora oggi non è stata formalizzata la figura del mediatore che spesso viene confusa con quella dell’assistente sociale. Non essendoci un albo professionale, il mediatore non riesce a trovare la dimensione di “figura necessaria”, ma solo facoltativa. 

A differenza dei processi civili, dove la mediazione e l’arbitrato sono condizione di procedibilità, la mediazione penale minorile, così come la mediazione familiare, restano appese al filo ibrido della residualità, sminuendo in qualche modo il prezioso contributo nello snellimento di fascicoli di reati di minore entità di cui il Tribunale a tutt’oggi deve farsi carico, con gli iter procedurali standard. 

Negli ultimi tempi pare che il Ministero della Giustizia abbia focalizzato maggiormente l’importanza della mediazione penale minorile e pare che sia orientato verso l’implementazione di un modello di Giustizia penale di tipo riparativo, che facendo propri i concetti di “sicurezza e riabilitazione” crea uno spazio per la Giustizia come ricomposizione.

Valeria Barbagallo

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