L’Abruzzo protagonista degli eventi drammatici dell’ 8 settembre 1943 e delle sue conseguenze.

(di Franco Pasquale)

Per la generazione nata sotto il regime fascista, l’8 settembre del 1943 fu una data storica. Una di quelle che spacca in due la Storia, uno di quei giorni in cui nella memoria di una nazione c’è un “prima” e un “dopo”.


Come le “idi di marzo”, come il 14 luglio per la Francia, o l’11 settembre per gli Stati Uniti d’America. Tutto cambia e nulla potrà mai essere come prima.
Ma l’8 settembre, nella memoria di quella generazione, ha in sé la tragicità degli eventi sia di quella data, sia dei due anni che seguiranno.

Un vero sinonimo di “disfatta”, quasi che emblematicamente andasse a sostituire quella di Caporetto, subita durante la prima guerra mondiale.
Questo vale per tutta Italia, ovviamente, ma per un abruzzese, l’8 settembre ha una connotazione ulteriore perché molti di quei fatti si svolsero proprio sul territorio abruzzese.


Non a caso si parla di “fuga del re” oppure di “fuga di Pescara”, poiché Vittorio Emanuele III, la famiglia reale (esclusa la figlia Mafalda che si trovava in Bulgaria), e il nuovo “governo Badoglio” al seguito, una volta firmato l’armistizio, si misero in viaggio da Roma lungo la Tiburtina e raggiunsero Pescara. Era loro intenzione, infatti, usufuire della possibilità di allontanarsi in volo dall’aeroporto della città adriatica per giungere a Brindisi.


Ciò – pare – non fu possibile perché i piloti in servizio presso lo scalo aereo abruzzese giudicarono “vile” l’intenzione del re e non c’erano quindi piene garanzie che poi portassero i passeggeri nel territorio già occupato dalle truppe alleate.

Badoglio e il re ripiegarono quindi su un “piano B” e decisero che la famiglia reale si imbarcasse dal porto di Pescara, presso cui sarebbe dovuta venire a prelevarli la corvetta “Baionetta”, richiamata allo scopo da Zara.
Ma neanche questo fu possibile perché la notizia della fuga del re, a Pescara, diffusasi dopo il tentativo di partire in volo dall’aeroporto, non era stata gradita dalla popolazione e si temevano tumulti.


Fu deciso così che la corvetta si sarebbe spostata ad Ortona, in provincia di Chieti, e che lì sarebbe avvenuto l’imbarco dopo una notte frenetica che i reali passarono nel vicino Castello di Crecchio, ospiti dei Duchi di Bovino, mentre anche la corvetta “Scimitarra” e l’incrociatore “Scipione l’Africano” si erano uniti alla operazione.

Lo stato maggiore, al contrario, fu ospitato a Chieti, presso il Palazzo Mezzanotte e mentre il re partiva da Ortona, Badoglio riusciva invece a imbarcarsi a Pescara.

Mentre il re si metteva al riparo con il suo seguito, Benito Mussolini, era ancora imprigionato, sempre in Abruzzo, in un albergo in alta montagna, sul Gran Sasso, a Campo Imperatore e, appena pochi giorni dopo, precisamente il 12 settembre del 1943, ebbe luogo la cosiddetta
“ Operazione Quercia”, messa in atto da paracadutisti tedeschi ed SS che portò alla liberazione dell’ex duce per ordine di Hitler.


Molti storici sostengono che la fuga del re sarebbe stata ben nota ai tedeschi e che questi l’avrebbero “barattata” con la possibilità di liberare Mussolini di cui non si conosceva il luogo della prigionia.
Vero è che sembra proprio che addirittura un ricognitore tedesco seguì e documentò “la fuga del re” da Ortona a Brindisi.

Se “baratto” ci fu l’Italia tutta, e l’Abruzzo non fu da meno, pagò con lutti immani gli eventi che seguirono. Il “fronte” sulla cosiddetta “linea Gustav” vide gli alleati fronteggiarsi con i tedeschi per circa 9 mesi, dal Garigliano ad Ortona, con un prezzo di vite umano spaventoso sia fra i militari che fra i civili.

Dal termine della guerra fino ad oggi molti parenti e discendenti di caduti fra le truppe alleate vengono ancora a rendere omaggio a chi ha versato il proprio sangue per la liberazione dell’Italia ed è sepolto presso il cimitero militare britannico di Torino di Sangro e quello militare canadese di Ortona.

Proprio in Abruzzo, infine, si formò il primo vero nucleo partigiano, la cosiddetta Brigata Maiella, guidata da Ettore e Domenico Troilo, unica formazione partigiana a essere decorata di medaglia d’oro al valor militare, a tutti gli effetti aggregata alle truppe di liberazione alleate.

Forte di circa 1700 unità, la Brigata Maiella non si limitò a liberare l’Abruzzo, ma risalì con gli anglo- americani lungo la penisola contribuendo alla liberazione di Marche, Emilia-Romagna e Veneto.

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