Report Caritas emergenza umanitaria per i migranti in Bosnia e Erzegovina


Il Report della Caritas Italiana aggiornato al 20 novembre 2019:
La Rotta Balcanica è diventata nel 2019 la principale rotta migratoria verso l’Europa, vista la pericolosità della Rotta Mediterranea per le condizioni dei campi profughi in Libia e per i continui naufragi durante l’attraversamento via mare. I migranti provano oggi a raggiungere l’Unione Europea partendo dalla Turchia, passano per lo più via mare nelle isole della Grecia, e da lì via terra attraversano i paesi balcanici (Macedonia del Nord, Albania, Montenegro, Serbia) per arrivare infine in Bosnia e Erzegovina.
Dalla Bosnia e Erzegovina i migranti tentano poi l’ingresso nel territorio comunitario tramite le zone di confine con la Croazia attorno alla città di Bihac. In Bosnia e Erzegovina quest’anno è stato registrato un flusso in arrivo di oltre 45.000 persone migranti (dati UNHCR, periodo gennaio-ottobre 2019), a cui va aggiunto il numero imprecisato di persone che riescono ad arrivare nel paese senza farsi registrare. Nello stesso periodo del 2018 gli arrivi complessivi erano stati circa 19.000: ciò significa che nel corso del 2019 gli arrivi sono aumentati di oltre il 230%.
Si tratta di migranti che provengono da varie aree del mondo in guerra o in profonda crisi: arrivano in particolare da Pakistan (36%) e Afghanistan (11%), dall’Africa subsahariana e dal Nord Africa (Algeria 6%, Marocco 6%), e nelle ultime settimane è ripreso l’arrivo di Curdi, Siriani e Iracheni a seguito della ripresa del conflitto nell’area mediorientale (Siria 10%, Iraq 7%).
Lungo la Rotta Balcanica si muovono tante famiglie, con anziani, numerosi bambini anche molto piccoli, disabili. Viaggiano in maniera totalmente improvvisata, spesso affidandosi a trafficanti locali. Molti sono in viaggio già da anni, molti hanno subito violenze e respingimenti lungo il loro percorso migratorio. Nessuno porta con sé alcun bagaglio per poter viaggiare più semplicemente: né cibo né acqua, né vestiti di ricambio, le cose di base per l’igiene personale o per le necessità dei bambini (pannolini, latte in polvere…). L’equilibrio psichico di molti di loro è fragile: dopo mesi o anni in viaggio o passati in strutture fatiscenti aumentano le violenze, le dipendenze da sostanze, i suicidi. Sono infine molte le persone che non ce l’hanno fatta a portare a termine il proprio progetto migratorio: annegate nel mar Egeo o nei fiumi balcanici, o rimaste uccise nei pericolosi tentativi di attraversare i confini.
In tutti i paesi balcanici, dalla Grecia fino alla Bosnia Erzegovina, l’accoglienza è difficile e la situazione rimane critica, a causa dell’aumento del numero delle persone in transito e delle insoddisfacenti condizioni della accoglienza nei campi profughi. Spesso non si riesce ad offrire nemmeno l’assistenza di base: cibo, cure mediche, igiene, strutture per l’accoglienza. Dopo una prima fase di intenso supporto economico internazionale (2015-2016), i fondi internazionali per l’assistenza lungo la Rotta Balcanica sono andati in continuo calo negli ultimi anni, rendendo sempre più difficile la possibilità di garantire anche i servizi minimi.
I Balcani oggi presentano dunque un lungo susseguirsi di situazioni emergenziali all’interno dei campi profughi o delle strutture di accoglienza.
Il punto in cui i migranti tentano l’ingresso nel territorio comunitario è il confine bosniaco-croato nell’area di Bihac, nel nord ovest della Bosnia e Erzegovina. L’ingresso è molto difficile, per i controlli a tappeto e i respingimenti (anche molto violenti) messi in atto dalla polizia croata. Pertanto, un numero molto elevato di persone rimane bloccata: le stime ad oggi sono di circa 8.000 migranti bloccati in Bosnia e Erzegovina di cui ben 6.000 nella sola area di Bihac (cittadina che conta circa 30.000 abitanti). Tra di loro, ci sono più di 200 i minori migranti non accompagnati.
L’emergenza umanitaria in corso è dovuta:
al continuo aumento del numero di arrivi di migranti nel paese, con picchi di 700-800 persone a settimana nell’ultimo periodo;
alla scarsità di posti letto nei campi profughi rispetto al numero di presenze, per cui molte persone sono costrette a dormire all’addiaccio (nella sola area di Bihac si stimano oltre 2.000 persone che non possono essere accolte nei campi ufficiali);
alle preoccupanti condizioni igieniche e sanitarie dei campi stessi, sovraffollati, al limite della vivibilità, con un forte rischio di epidemie;
all’arrivo dell’inverno che nella zona di Bihac porta le temperature anche a -10° C con abbondanti nevicate, condizioni che mettono a rischio la vita stessa dei migranti.
Il responsabile dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni in Bosnia e Erzegovina, Per Van der Auweraert, ha recentemente affermato che “la situazione potrebbe diventare catastrofica per i migranti perché i rifugiati non potranno resistere al freddo: si rischia il disastro umanitario”.

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