Sicilia Araba: La presa di Mazara

L’anno 827 d.C. segna l’inizio di quella che è generalmente nota con il nome ğihād, la Guerra Santa, condotta contro l’imperatore bizantino Michele il Balbo: il turmarca Euthimio, ribelle di Siracusa, decise di opporsi all’imperatore, giungendo in Sicilia con un esercito di Saraceni. A mio avviso, è necessario, però, illustrare brevemente gli eventi che precedettero lo scoppio di questa guerra arabo-bizantina, su cui gli storici sembrano mostrare alcune incertezze soprattutto in merito alla datazione.

Inizialmente Euthimio si configurò come l’artefice di una rivolta popolare ai danni del protospatario bizantino e capitano d’Oriente Fotino, che governò la città di Siracusa quando Michele il Balbo dovette fronteggiare la minaccia rappresentata dal generale Tommaso di Cappadocia, il quale, acclamato con il titolo di imperatore, aveva dato inizio ad una vera e propria guerra civile a Costantinopoli negli anni 821-824 d.C.

Successivamente, un contingente di uomini africani e arabi occupò le isole di Creta, Sicilia e Cicladi, recentemente uscite dalla dominazione bizantina, a partire dall’824 d.C.

Il turmarca Euthimio riuscì a sconfiggere il protospatario Fotino e, in quell’occasione, si proclamò imperatore, ma non aveva considerato l’ipotesi di una vendetta di sangue: due cugini del protospatario, Palata e Michele, quest’ultimo governatore di Palermo, riuscirono ad abbattere le difese popolari e ad entrare a Siracusa, costringendo alla fuga lo stesso Euthimio, che trovò rifugio in Africa, dove chiese l’aiuto dei Saraceni, i quali ne approfittarono per avviare la conquista dell’Isola.

Lo scoppio del ğihād, dunque, coincide con il ritorno del turmarca in Sicilia: armato l’esercito e preparata la flotta, Euthimio partì dal porto di Susa, in Tunisia, con le milizie arabo-berbere nel giugno dell’827 d.C., sbarcando a Mazara, “la più vicina punta della Sicilia”. Con il loro insediamento, si affermò in Sicilia una cultura islamica di carattere maġribino che, già a partire dal IX secolo d.C., aveva iniziato a mostrare i primi segni di sviluppo. Più che un incontro tra la componente arabo-berbera e quella siculo-greca, si verificò una vera e propria separazione tra le due popolazioni, entrambe intente alla salvaguardia del proprio patrimonio senza alcuna possibilità di contatto; perlomeno, questa era la situazione in un primo momento, in quanto l’invasione araba riuscirà a prevaricare il sistema di governo di ispirazione siculo-greca.

Lasciato Abū Zakī della tribù di Kināna a presiedere la città di Mazara, l’esercito arabo si spinse fino a Siracusa, Chiaramonte e Acri, oggi nota come Palazzolo. I successi riportati sul campo militare spinsero l’imperatore bizantino Michele il Balbo a chiedere l’intervento di Giustiniano Partecipazio, doge della Repubblica di Venezia, affinché inviasse nel territorio siciliano un’armata veneziana in soccorso ai bizantini. Con la morte del condottiero Asad Ibn Furāt nell’828 d.C., le sorti della guerra mutarono a sfavore dei musulmani, indeboliti dalla pestilenza che stava sempre più prendendo piede. Quando quest’ultima fu debellata, i “Maomettani”, guidati da Muḥammad Ibn al-Ğiwāri, occuparono Mineo, Girgenti e si spinsero fino a Castrogiovanni, antico nome della città di Enna, dove Euthimio morì. Comparve sulla scena militare il patrizio Teodoto che, giunto da Costantinopoli con un vasto esercito, decise di condurre nella città siciliana uno scontro diretto con l’invasore arabo, iniziativa che si rivelò del tutto fallimentare: Teodoto, infatti, subì una pesante sconfitta e numerosi patrizi ed esponenti della piccola nobiltà furono resi prigionieri dagli arabi, secondo quanto riportano le cronache musulmane. La sconfitta fu solo momentanea, in quanto nell’829 d.C. perse la vita il combattente arabo Muḥammad Ibn al-Ğiwāri e un nuovo capitano venne eletto dall’esercito, ovvero Zuhayr Ibn Ġawṯ, che ordinò di depredare il territorio circostante. Teodoto, prevedendo una tale mossa, scagliò contro di loro il suo esercito, riuscendo ad uccidere un gran numero di musulmani.

Informato di un attacco a sorpresa a Castrogiovanni che l’esercito nemico intendeva organizzare nel corso della notte, il patrizio bizantino fece evacuare la zona e, appostandosi nel circondario, lo assalì da tutti i lati: con la presa anche di Girgenti, nelle mani degli arabi rimanevano solo le città Mazara e Mineo, il ché sembrava anticipare la fine del conflitto all’829 d.C., ossia due anni dopo lo sbarco di Mazara.20 In quell’anno morì l’imperatore bizantino Michele il Balbo, a cui succedette Teofilo.

Nell’830 d.C. giunsero dall’Africa ingenti aiuti militari da parte dell’emiro aġlabita Ziyādat Allāh (m. 838 d.C.) che rafforzarono le fila dell’esercito musulmano in Sicilia, garantendo in questo modo la ripresa delle ostilità con l’armata bizantina. Le truppe arabo-berbere, al cui interno si trovavano anche musulmani di Spagna, riacquistarono il controllo di Mineo, uccidendo Teodoto e provocando la fuga dell’esercito avversario, che trovò rifugio presso Castrogiovanni.

Successivamente avanzarono verso una città nota come “Ġallūlia”, identificata con Caltanissetta, dove subirono il contagio di una pestilenza che portò alla morte numerosi guerrieri, incluso il loro comandante Asbaġ. I bizantini approfittarono della ritirata degli arabi dalla città per tentare un attacco a sorpresa, che spinse una parte della milizia arabo-berbera a raggiungere il porto di Mazara, salpando, “sconsolati”, verso la Spagna.

Luca Mezzasalma

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