D’ANNUNZIO IN SICILIA

A chi pensi a D’Annunzio e non sia uno studioso del “Vate” può darsi che vengano in mente solo alcune fra le cose e gli avvenimenti che riguardano il poeta/soldato. Gli aspetti più noti, quali: la casa-museo del Vittoriale, a ridosso del Lago di Garda, la beffa di Buccari, il volo su Vienna, l’impresa di Fiume, il suo controverso rapporto con Mussolini, o le opere letterarie e teatrali che lo hanno reso celebre in tutto il mondo (dal Piacere, alla Figlia di Iorio, a L’Innocente, alla raccolta di poesie Alcyone, con la celeberrima Pioggia nel Pineto e tante altre).

Qualcuno che conosce meglio il personaggio sa anche che è nato a Pescara, in Abruzzo, che fu parlamentare, che inventò molti vocaboli oggi di uso comune (automobile, tramezzino), che si occupò di pubblicità (diede il nome ad alcune marche di biscotti e fu testimonial ante litteram di liquori ancor oggi molti noti), che scelse il nome di Rinascente per il grandi magazzini che nel 1917 Borletti rilevò dai fratelli Bocconi, che collaborò attivamente alla sceneggiatura e scelse il titolo del film Cabiria, il più famoso film del cinema muto italiano, proiettato in tutta Europa, negli Stati Uniti d’America e persino, in visione privata, alla Casa Bianca, per il presidente Woodrow Wilson nel 1915.

La bibliografia su D’Annunzio è sterminata, ma, oggi, in questa sede, vogliamo soffermarci su un aspetto poco noto, se non agli studiosi e conoscitori più profondi del Vate: il rapporto che da molti è considerato marginale di Gabriele D’Annunzio con la Sicilia.

Uno degli studiosi più autorevoli di Gabriele D’Annunzio è lo scrittore Franco Di Tizio, medico ed umanista, che al poeta abruzzese ha dedicato, finora, oltre venti volumi, dando vita ad una ricostruzione metodica ed instancabile di ogni dettaglio di un personaggio così centrale nella politica e nella letteratura del primo novecento italiano.

Sarà un caso che Franco Di Tizio è cittadino di Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, il paese dove Francesco Paolo Michetti diede vita al cosiddetto Cenacolo michettiano o Cenacolo dannunziano?

Da convento qual era, il pittore Michetti che fra i primi intuì e coltivò le potenzialità artistiche della fotografia, trasformò questo luogo, in molto più di un centro culturale, poiché artisti ed intellettuali di ogni genere, che nel loro campo guidavano la tendenza dell’epoca, lo trasformarono in una fucina di idee che segnarono il primo novecento.

E Gabriele D’Annunzio, Costantino Barbella, Francesco Paolo Tosti, Edoardo Scarfoglio, Basilio Cascella, Matilde Serao ne furono fra i più attivi animatori.

A Franco Di Tizio, dunque, con i suoi numerosi volumi, non poteva sfuggire nemmeno il D’Annunzio in Sicilia.

Ne fa richiamo espressamente in due volumi in particolare: “Lina Cavalieri” con sottotitolo “Massima testimonianza di Venere in Terra” e “D’Annunzio e Scarfoglio, amici schietti e sicuri”, due volumi di oltre 500 pagine ciascuno, entrambi editi da Mario Ianieri, editore di riferimento di Franco Di Tizio.

Anno 1899, dunque. E il legame sentimentale ed artistico fra Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse durava già di diversi anni; la fama internazionale già consolidata della Duse aveva contribuito non poco ad accrescere la notorietà del poeta che, ispirato da una simile musa, aveva scritto alcuni fra i suoi più noti drammi di cui la stessa attrice era poi protagonista sulla scena. Tutto ciò contribuiva ad accrescere la fama del Vate.

D’Annunzio, quindi, aveva scritto La Gioconda, una tragedia in quattro atti che Eleonora Duse ed Ermete Zacconi, presentarono in anteprima proprio in Sicilia, al Teatro Bellini di Palermo il 15 aprile 1899.

E il successo fu indimenticabile non solo per la Duse, ma anche per D’Annunzio, in un teatro gremito e alla presenza del Duca di Orleans dove le chiamate al termine dello spettacolo furono ripetute e insistenti anche per l’autore.

L’antica amicizia con Edoardo Scarfoglio, quando il co-fondatore de Il Mattino (fondato con la moglie Matilde Serao), lasciò la guida del giornale napoletano, fece sì che allorché Scarfoglio fu chiamato dalla famiglia Florio a dirigere L’Ora di Palermo, anche D’Annunzio contribuisse con i propri scritti infuocati a dare eco alle tesi sostenute dal giornale siciliano, nato in buona sostanza per rappresentare a livello nazionale ed internazionale gli interessi economici della ricchissima famiglia Florio, i cui affari spaziavano dalla industria navale, alla pesca, ad ogni settore dell’agricoltura, fino al turismo.

Gabriele D’Annunzio, perciò, mise la propria penna al servizio dei Florio, ma non poté certo evitare di mettere gli occhi su quelli di donna Franca Florio, certamente una delle donne più colte, corteggiate ed affascinanti della nobiltà siciliana, tanto che il Kaiser Guglielmo amava definirla la Stella d’Italia, mentre D’Annunzio la definì “l’Unica”.

Le così tante virtù possedute dalla moglie non impedivano però ad Ignazio Florio di continuare ad essere, come era sempre stato fin da giovane, un impenitente donnaiolo e l’uomo intratteneva apertamente una relazione extraconiugale con Lina Cavalieri, colei che all’epoca, non senza ragione, era ritenuta la donna più bella del mondo (da cui l’omonimo film del 1955 con una straordinaria Gina Lollobrigida, affiancata da Vittorio Gassman).

Così quando Ignazio Florio sfidò la sorte oltre misura e organizzò per lei, proprio al Teatro Massimo di Palermo, una rappresentazione della Bohème, non avrebbe mai immaginato che la moglie donna Franca, appunto, stanca di tanto ostentato tradimento, aveva organizzato, pagandola molto bene, una claque di spettatori che da ogni parte del teatro, dal loggione, come dalla platea, non fecero altro che rumoreggiare e fischiare senza freni, col risultato che la donna più bella del mondo fuggì letteralmente da Palermo per rifugiarsi, umiliata, in una villa che lo stesso Florio aveva acquistato per lei in Toscana.

Placata apparentemente l’ira della moglie, Ignazio raggiunse la sua amante sperando di trovarla in trepida attesa di lui a Firenze.

E invece, quando si presentò in casa, non trovò l’amante, ma solo la governante cui solo a gran fatica riuscì a far rivelare che Lina Cavalieri si era rifugiata nella vicina “Capponcina”, ospite proprio di Gabriele D’Annunzio.

E da quel momento in poi, naturalmente, il rapporto di D’Annunzio con la Sicilia, diventò davvero “marginale”.

Fra le altre “vittime” siciliane del poeta abruzzese ci fu però anche la nobile palermitana, Alessandra Starabba di Rudinì, vedova Carlotti, figlia nientemeno che all’ex presidente del consiglio Antonio Starabba, marchese di Rudinì.

La bellissima e ancora giovanissima Carlotta riuscì a legare a sé in maniera quasi esclusiva l’esuberante D’Annunzio, tanto che la loro relazione, durò circa quattro anni, in cui il poeta e la marchesa vissero nel lusso più assoluto e lo scrittore diede vita ad una produzione artistica molto ridotta, col risultato che ben presto dissipò ogni risorsa economica.

La donna, tra l’altro, nel corso della relazione si ammalò gravemente e in quella circostanza l’amante seppe comunque starle vicino ed assisterla.

Ma il blocco dello scrittore, le mutate condizioni economiche e l’inguaribile desiderio di conquista di altre donne ed amori intensi, fecero sì che il poeta cominciasse a prendere le distanze da questo rapporto troppo esclusivo ed impegnativo per i suoi gusti, col risultato che la donna, abbandonata e caduta anche in una profondissima depressione, preferì, dopo un viaggio a Lourdes, seguire una vocazione spirituale e abbracciò la vita monacale in Francia, dove, portando ormai il nome di Madre Maria del Gesù, fondò una serie di monasteri carmelitani tra cui il Carmelo di Montmarte a Parigi.

Franco Pasquale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *