I Taralli

Il successo di un alimento o di una preparazione è soggetto a diverse varianti. Il tempo, il luogo, la facilità nel prepararlo, il costo ed altre ancora.

Il Tarallo all’epoca,sembra aver centrato tutti questi punti, visto il successo che ne è conseguito. Un successo clamoroso al punto che, dalla Campania alla Puglia tutto il meridione ne rivendica la paternità.

A noi non interessa stabilire chi li abbia inventati, quello che ci interessa è che li abbia inventati e di questo gliene saremo grati per sempre. Anche l’etimologia del nome stesso Tarallo ha diverse versioni.

Secondo alcuni deriva dal latino Torrere ovvero abbrustolire, secondo altri dal francese Toral ossia essiccatoio, per altri ancora dal greco Doratos. Una delle ipotesi più accreditate sulla sua nascita è quella descritta da Matilde Serao nel libro “Il ventre di Napoli”.

In questo romanzo la Serao descrive la miseria che regnava nei quartieri popolari napoletani nel ‘700 e di come l’intuizione di un fornaio di impastare gli scarti della lavorazione del pane con lo strutto (n’zogna in napoletano) ed il pepe, avesse dato vita ad un alimento di recupero e quindi con prezzi accessibili a tutti.

Secondo la Serao nacquero così: “Fece due strisce sottili di pasta e le attorcigliò fra di loro chiudendole a ciambella e poi le infornò col pane”. Nel tipico Tarallo napoletano c’è un altro ingrediente tipico, la mandorla, questa apparirà solo nell’ottocento e costituirà il connubio perfetto di sapori con il pepe.

In Puglia, la leggenda del Tarallo, fa risalire la sua nascita all’intuizione di una mamma che nel ‘400 dovendo preparare da mangiare per la sua famiglia e non trovando nella sua dispensa null’altro che farina, olio extravergine, sale e vino, li impastò tutti insieme e lavorando l’impasto a strisce ed arrotolandole a ciambelline diede vita ai taralli.

A prescindere dal posto dove sono nati,nel corso dei secoli si sono diffusi in tutto il meridione d’Italia. Oggi ne esistono molte versioni, alcune con l’aggiunta di prodotti caratteristici delle zona di produzione.

Tra questi possiamo ricordare quelli napoletani n’zogna e pepe, quelli pugliesi con olio extravergine e semi di finocchio, quelli calabresi con il peperoncino, quelli lucani con il peperone crusco.

A questi si aggiungono molte altre varianti: quelli fatti con grano arso, quelli con lo zucchero, con il naspro, con il vincotto, con il cioccolato, con l’uovo, con la cipolla, con patate e rosmarino, con le olive e altri ancora.

A Napoli ancora oggi è un must la passeggiata a via Caracciolo sgranocchiando taralli caldi. Una volta si consumavano bagnandoli nell’acqua di mare,oggi sarebbe un suicidio visto lo stato del mare.

Si usa consumarli sorseggiando birra, magari seduti sugli scogli di Mergellina osservando il Vesuvio all’orizzonte o la collina di Posillipo che sovrasta il lungomare.

Oggi si comprano nei chioschi, ieri le strade pullulavano di venditori ambulanti che con le loro “Sporte” coperte giravano per le strade della città vendendoli agli avventori.

La sua enorme popolarità la ritroviamo in diversi modi di dire. “Se ti cade una sporta di taralli in testa, non ne cade nessuno per terra”, alludendo alla scarsa fedeltà del coniuge della persona destinataria della frase.

“Par a sport ro tarallar”.

Questo detto associa il destinatario della frase alla cassetta del venditore, sballottata a destra e a manca senza possibilità di scelta.

“Finisce tutto a tarallucci e vino”

indica una situazione complicata che però ha un lieto fine. Come la disputa su chi ha inventato i Taralli.

Giorgio Ruggiu

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