Smartworking: nuove forme di lavoro ai tempi del Covid.
Il Covid è stato ed è un evento rivoluzionario e come tutte le rivoluzioni lavora lento, cambiando radicalmente prospettive e modalità comportamentali.
Un effetto detonante che investe tutti gli ambiti del quotidiano, non ultimo il lavoro.
In realtà il cosiddetto smartworking non è una novità o per lo meno non dovrebbe esserlo, se ci rapportiamo a quella che Zygmunt Bauman definiva società liquida, nel fluidificarsi delle relazioni, il lavoro è una delle tante dinamiche che acquistano significati meno radicati sul hic et nunc, la flessibilità diventa una dimensione spazio-temporale che perde i propri confini fisici.
Il villaggio globale è tanto esteso, quanto poco intenso e le dinamiche relazionali a tutti i livelli acquistano una flessibilità che ci permette di essere ovunque, senza radicarci da nessuna parte.
Lo smartworking rappresenta proprio questo.
Da tanti anni si parla di telelavoro, lo smartworking si può definire la sua variante più radicale, che permette al soggetto un’assoluta autonomia gestionale.
In Italia questa modalità di lavoro non ha mai avuto grandissimo seguito, la dimensione del controllo e la logica del timbro il cartellino, così sai che sto lavorando è sempre stata più forte.
Diverse le problematiche di ordine gestionale, non ultima una connessione internet che non sta al passo con i tempi per costi e reale fruizione; senza un valido supporto da questo punto di vista è improbabile pensare che lo smartworking possa diventare una valida alternativa.
La politica di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, incentivata dal piano triennale approvato recentemente dalla ministra Giulia Bongiorno, scoperchia il vaso di Pandora, palesando i limiti di una cultura che viaggia solo sulla teoria e pochissimo sulla pratica.
Gli italiani si sa, sono un popolo caloroso, vogliono il contatto face to face, amano le interminabili pause caffè e non disdegnano le riunioni fatte di confronti reali e mai virtuali.
Implementare quella che è altrove una normale opportunità, significa scardinare alcuni luoghi comuni e promuovere una logica di autogestione, un’ulteriore sfida dunque e come tutte le sfide sta a noi coglierne le infinite possibilità realizzative.
Marilena Sperlinga