Il “conflitto” è la misura della solidità di una coppia
Al concetto di conflitto spesso diamo un’accezione negativa, associandolo ad immagini di violenza verbale, psicologica e fisica.
In realtà, gli studiosi hanno dato perlopiù una valenza positiva al conflitto in una coppia, perché la sua genesi nasce dalla “differenza”. La differenza è ciò che contraddistingue ciascun essere umano, il quale, per quanto possa rientrare nelle macro categorie caratteriali o comportamentali, mantiene sempre e comunque una propria autenticità ed originalità. La differenza dunque all’interno delle relazioni deve essere vista come un elemento di arricchimento reciproco, di scambio e di compensazione delle capacità e delle peculiarità individuali.
Nello specifico, una coppia caratterizzata da differenze è una coppia che può offrire molto l’uno all’altra.
Ma allora ci chiediamo perché il conflitto porta il più delle volte a casi estremi di separazioni e divorzi?
Il problema subentra quando le differenze diventano ingestibili, ovvero quando all’interno della coppia prevalgono spinte individuali di autoaffermazione a fronte dell’unità che la coppia ed ancor di più la famiglia, necessita per mantenere l’identità del “sistema famiglia”. Individualismo, differenziazione ed unità sono delle forze che se non sapute gestire posso esacerbare le relazioni familiari. Nel corso del proprio ciclo di vita ogni nucleo familiare si troverà nelle condizioni di dover conciliare queste forze, divenendo teatro di disarmonie e contrasti che richiederanno uno sforzo significativo per il giro di boa, o verso una trasformazione positiva con nuovi assetti sistemici, o nella peggiore delle ipotesi, verso uno stadio di crisi che metterà in discussione l’intero sistema.
Ciò che vengono messi in campo sono le emozioni e le tensioni intrapersonali ed interpersonali, a quel punto non gestibili più dal singolo o dalla coppia stessa.
La comunicazione, durante un conflitto diventa disfunzionale e di conseguenza iniziano a susseguirsi comportamenti non equilibrati, riflettendo lo stato di malessere e di disagio sui figli.
Purtroppo, il più delle volte le separazioni non avvengono per volontà di entrambi e quindi si crea un dislivello di bisogni, l’uno vuole uscire dal sistema coppia, l’altro vuole restare.
I sentimenti che affiorano sono molteplici. La fine di una relazione si vive come una sconfitta, una perdita, un senso di colpa e tradimento. Nel caso di una matrimonio il soggetto “uscente” avverte di perdere il coniuge, i figli, la casa e tutti gli oggetti che hanno un valore affettivo e di stabilità. Si parla infatti di “elaborazione del lutto”. Ci si trova ad avere un senso di perdita del controllo della propria vita, perdita di fiducia in se stessi e delle proprie sicurezze.
Di certo la separazione per vie legali non sancisce la vera fine di un rapporto di coppia, perché il distacco emotivo richiede tempi diversi, ben lontani da quelli giudiziari. Anzi, il più delle volte la lotta legale intrapresa diventa un vero e proprio gioco al massacro, in cui spesso i figli vengono strumentalizzati per ricattarsi a vicenda. Quando si iniziano a salire i gradini del tribunale, si sta delegando a terzi la sorte delle proprie vite, dovendosi conformare alle decisioni del giudice in merito alla gestione dei figli, alla gestione economica, all’assegnazione della casa coniugale. Decisioni che prima erano sotto il privato controllo della famiglia, come organizzazione autonoma ed indipendente.
Prima di perseguire le vie legali, prima di arrivare ad un conflitto esasperato, prima di accusarsi a vicenda di colpe e negligenze, sarebbe opportuno affidarsi al Mediatore Familiare, perché in mediazione “Io Vinco, Tu Vinci”, per vie legali “Io Vinco, Tu Perdi”. In una coppia o famiglia è giusto che entrambi vincano in virtù “di quanto di buono c’è stato” e potrebbe esserci anche in seguito.
Valeria Barbagallo