Georgia Costanzo, una donna che dipinge le donne.
Abbiamo incontrato Georgia Costanzo, pittrice classe 1981, ed abbiamo provato ad affacciarci nel suo mondo, per comprendere la sua arte.
Districandosi fra il ruolo di artista, quello di professionista e di mamma, Georgia ci confessa che la sua vita non è mai rilassante, a lei piace vivere senza doversi chiedere “come impiego oggi il mio tempo?”
La sua passione la fa star bene, la fa sentire viva, allo stesso modo di come gli occhi dei suoi figli le danno la giusta carica, sono aspetti complementari che danno il senso al suo essere donna.
Osservando i suoi ritratti abbiamo l’impressione che esprimano un concetto di identità composita, come una mappa geografica che esprima le tante parti di cui queste donne sono composte ed in effetti per Georgia i suoi ritratti rappresentano un omaggio al cammino verso la consapevolezza del sé, pezzi di anima che si incastrano per creare un’unica forma. Cadere, distruggersi e ricostruirsi, questo il segreto della vita.
Una lotta impari dell’uomo che si sente schiacciato dalle istanze superflue di una società consumista; l’essere umano per Georgia è debole, bombardato da messaggi che lo confondono, lo sminuiscono e lo fanno sentire inadeguato, in costante affanno per trovare la propria dimensione e una forma di approvazione che lo appaghi.
Le mille sfaccettature delle protagoniste dei suoi quadri sono anche le sue, lei si scompone e si ricompone ogni volta che crea, traferendo sensazioni ed emozioni diverse ogni volta.
Come per la maggior parte degli artisti, la sua anima è disordinata, incoerente, a volte tormentata e frammentata, altre ancora più metodica e alla ricerca costante di stabilità. Un equilibrio dinamico che si riversa nelle sue opere sotto forma di rinascita, perché per Georgia dipingere significa questo.
Le abbiamo chiesto se avesse dei rimpianti da un punto di vista artistico, ma Georgia preferisce guardare al futuro, perché le piace sognare e progettare e non rimuginare su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Ha sempre sentito dentro di sé la spinta a creare, non si può reprimere ciò che si è; già a otto anni disegnava il vestito della sua comunione, ma la pittura come canale espressivo privilegiato l’ha scoperta grazie alla partecipazione ad un progetto, ha sentito che si stava riappropriando di sé stessa e che quella era la strada da percorrere.
Sceglie da sempre l’uso degli acquarelli, la pittura ad olio non la rappresenta perché è una tecnica lenta e ricca di passaggi, lei ha necessità di esprimere le sue emozioni di getto, quasi fosse un impulso irrefrenabile.
Georgia ci dice che, se lavora troppo tempo su qualcosa, corre il rischio di perdersi e che questa è anche una delle sue paure.
È una persona solare che ama i contrasti, gli eccessi e sentirsi libera, come individuo e come donna; forse è per questo che le piacerebbe essere vissuta negli anni ’70, si ritrova dei racconti dei suoi familiari e sorride a quell’atmosfera di cambiamento che sembra emergere.
Il futuro lo rincorre con curiosità, certa che non abbandonerà mai l’arte.
Georgia ha pudore delle sue emozioni e prova imbarazzo quando qualcuno guarda un suo quadro, significa mettersi a nudo, palesarsi nella propria essenza, ed è lei che ci spiega, con le parole di Edward Hopper, che “se potesse esprimerlo a parole non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo”.
Georgia si sente una, nessuna e centomila, una persona in continua evoluzione, e per quanto sembra vivere nel suo iperuranio fatto di sogni, è ipercritica con sé stessa e con la sua arte; aspira a migliorarsi sempre e se a volte plana sulla terra e si scontra con la cattiveria dell’essere umano, si rifugia nel suo mondo per creare barriere protettive alla sua dimensione di donna e di artista. L’arte in fin dei conti è anche una fuga dal reale, che del reale si fa carico e Georgia questo lo sa.