GLI ATTI DI TRASFERIMENTO GIUDIZIALI DI BENI IMMOBILI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO

STUDIO LEGALE CANNATELLA

avv. Maria Giovanna Cannatella

Patrocinante in Cassazione

RELAZIONE

GLI ATTI DI TRASFERIMENTO GIUDIZIALI DI BENI IMMOBILI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO. PROFILI DI NULLITA, INIDONEITA’ ED INVALIDITA’ DEGLI ATTI TRASLATIVI E CONSIDERAZIONI SULLA RESPONSABILITA’ DELL’ AVVOCATO E DEL CANCELLIERE

PREFAZIONE

In relazione alla ammissibilità ed alla opponibilità di accordi, conclusi in sede di separazione e di divorzio, tra coniugi aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili si si sono registrati diversi orientamenti giurisprudenziali.

Invero, la regolamentazione dei profili patrimoniali del rapporto tra i coniugi nel caso di crisi coniugale è un fenomeno recente e disomogeneo, e le norme che l’ordinamento vigente dedica agli aspetti patrimoniali nascenti da separazione o divorzio sono estremamente ridotte e poco confacenti a regolare la molteplicità delle fattispecie poste al vaglio dei giudici; peraltro, tali norme devono essere necessariamente raccordate con la normativa specifica afferente la pubblicità prevista per gli atti traslativi di beni immobili.

Inoltre le differenti posizioni assunte dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, riflettevano una sostanziale incertezza operativa per avvocati e giudici, esposti alle difficoltà di riscontrare – con metro uniforme – le istanze degli interessati.

Sul punto, con una importante pronuncia (Cassazione civile, SSUU., 29 luglio 2021, n. 21761) è intervenuta la Cassazione a SS.UU. per fare chiarezza sulla questione riguardante la validità dei trasferimenti immobiliari nell’ambito degli accordi di separazione e divorzio.

La presente relazione, prendendo le mosse dall’ultimo arresto giurisprudenziale della Suprema Corte, intende ripercorrere i diversi orientamenti per giungere ad una disamina della sentenza richiamata che dovrebbe fornire agli operatori le linee guida per la applicazione, in concreto, del trasferimento di immobili in sede di separazione e/o divorzio.

PREGRESSI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Per una migliore comprensione della questione, appare utile richiamare le diverse posizioni che si sono registrate, negli anni precedenti la pronuncia a SS.UU, in dottrina ed in giurisprudenza.

Le diverse posizioni possono essere sostanzialmente ricondotte a tre diversi indirizzi:

I – Orientamento restrittivo:

Un primo orientamento prende le mosse dal contenuto, naturale e necessario, proprio degli accordi di separazione che devono avere ad oggetto gli aspetti personali (affidamento dei figli minori ed esercizio della responsabilità genitoriale) e patrimoniali dei coniugi (mantenimento figli minori, assegnazione della casa coniugale, eventuale mantenimento del coniuge).

Gli accordi conclusi tra coniugi non possono andare oltre il contenuto “tipico” e, conseguentemente, non possono avere oggetto ulteriore rispetto a quello proprio e necessario. Pertanto, eventuali accordi intervenuti all’interno dell’accordo di separazione non potrebbero essere trascritti, essendo sempre necessario l’intervento del Notaio a ciò abilitato[1].

Per tali considerazioni, non residuano margini per trasferimenti immobiliari né in sede di separazione consensuale, ed eventuali traslativi non potrebbero, in ogni caso, essere trascritti.

II – Orientamento intermedio:

Secondo tale indirizzo viene introdotta una procedura “bifasica”.

Nella sostanza, si riconosce la possibilità di confluire nel verbale di separazione o divorzio congiunto la previsione di trasferimento immobiliare ma tale impegno ha natura meramente obbligatoria; l’effetto traslativo è in ogni caso riservato alla stipula dell’atto notarile.

Sono numerose le decisioni della giurisprudenza di merito che, prendendo le mosse dalla distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale, ammettono l’integrazione degli accordi di separazione con clausole contenenti impegni di carattere obbligatorio, aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, ma ne escludono la immediata efficacia traslativa. Questo anche in considerazione del rischio di eventuali errori materiali e/o invalidanti in relazione alla normativa specifica in tema di regolarità urbanistica[2].

III – Orientamento estensivo:

Un indirizzo più innovativo individua nell’accordo dei coniugi una “negoziazione globale” di tutti i rapporti (patrimoniali e non, ivi compresi quelli immobiliari), individuando un vero e proprio “contratto di definizione della crisi coniugale”, negozio in grado di ricomprendere ogni forma di costituzione e/o trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale, anche se non necessariamente in seno ad una separazione dinanzi al Tribunale[3].

Sotto il profilo causale del negozio giuridico in esame, parte della dottrina fa riferimento a contratti atipici; altri inquadrano i contratti della crisi coniugale nei contratti tipici, trovando la loro base normativa negli artt. 711 c.p.c. e 4 comma 16 L. 898/70.  Invero, tenendo conto del carattere globale delle negoziazioni nella fase di “liquidazione del rapporto coniugale”, di fronte alla necessità di regolare i reciproci rapporti nascenti dalla convivenza, si ritiene possibile individuare una causa tipica del negozio patrimoniale della crisi coniugale nella definizione stessa della crisi, o più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale indicazione è supportata dalla terminologia impiegata nell’art. 711 c.p.c. (il quale dispone che, dopo il vano esperimento del tentativo di conciliazione da parte del Presidente del tribunale, si dà atto nel processo verbale “del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole”) e dal richiamo contenuto nell’art.4 comma 13 legge L. 898/19710 (laddove si parla di “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici” in sede di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio)[4].

Pertanto, tenuto conto del principio consolidato per il quale ciascun coniuge ha il diritto di condizionare il proprio assenso alla separazione ad un soddisfacente (e possibilmente definitivo) assetto dei rapporti patrimoniali, la locuzione “condizioni della separazione”  deve essere interpretata in senso oggettivo (e non soggettivo), ricomprendendo le regole di condotta che disciplinano le reciproche relazioni personali nella fase successiva alla separazione o al divorzio nonché tutte le pattuizioni concluse dai coniugi al fine di pervenire ad una definizione composita della crisi coniugale, ivi comprese quelle a carattere strettamente patrimoniale[5].

Per le suesposte considerazioni, si reputano valide le clausole dell’accordo di separazione con effetti traslativi (che riconoscono ad uno o entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni immobili o ne operino il trasferimento a uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento).

L’accordo di separazione è atto idoneo a ricomprendere ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali in occasione della crisi coniugale, ed in quanto inserito nel verbale di udienza assume forma di atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c.; pertanto, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce valido titolo trascrivibile ai sensi dell’art. 2657 c.c.

RIMESSIONE ALLA CORTE

In considerazione dei diversi orientamenti sopra richiamati, con ordinanza interlocutoria, depositata il 10 febbraio 2020, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite al fine di ottenere una pronuncia chiarificatrice sul punto.

Peraltro la Corte evidenziava la particolare importanza della questione. La Corte remittente, infatti, evidenziava il rilevante impatto che l’interpretazione delle norme sottoposte al giudizio poteva avere sulla giurisprudenza nazionale, considerato il profilo dell’autonomia delle parti in sede di determinazione degli accordi della “crisi coniugale” aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari (artt. 1322 e 1376 c.c.), la interpretazione di tali accordi (artt. 1362 c.c. e segg.), gli effetti di tali accordi in tema di trascrizione del verbale ed il ruolo del Notaio in relazione alla attività di identificazione catastale dell’immobile ed alla conformità alle risultanze dei registri immobiliari (D.L. 31/05/2010, n. 78, art. 19).

LA SENTENZA A SEZIONI UNITE

Intervenendo sulla questione riguardante la validità dei trasferimenti immobiliari nell’ambito degli accordi di separazione e divorzio, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 21761 del 29 luglio 2021, hanno enunciato il seguente principio di diritto: sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento; il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis; non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

Per la Cassazione sono, quindi, valide le clausole dell’accordo (di divorzio a domanda congiunta o di separazione consensuale) che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento [6].

Inoltre, l’accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, e costituisce valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.

Peraltro, la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla Legge n. 52 del 1985 art. 29, comma 1-bis; di contro, non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatari catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

In sede di motivazione, la Corte ribadisce l’ammissibilità dei patti di trasferimento di diritti reali in sede di separazione consensuale e di accordo congiunto di divorzio, richiamando una pronuncia (Cass., 30/10/2020, n. 24087) nella quale si è ritenuto che la previsione di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497 operi anche nel caso in cui il trasferimento avvenga in via transattiva davanti l’autorità giudiziaria, considerando che il verbale di conciliazione giudiziale presenta tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita, essendo il giudice, al pari del notaio, un pubblico ufficiale ed assumendo detto verbale il valore di vero e proprio atto pubblico. Ulteriori conferme provengono da una serie di decisioni in materia fiscale, concernenti l’applicazione del disposto della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 19, che, nel testo risultante dalle pronunce di illegittimità costituzionale nn. 176 del 1992 e 154 del 1999, stabilisce l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” per tutti i provvedimenti giudiziali resi nelle cause di divorzio o di separazione dei coniugi.

La pacifica natura negoziale degli accordi dei coniugi comporta che il giudice non può esercitare alcun sindacato sulle pattuizioni stipulate dalle parti, e riprodotte nel verbale di separazione. Diversamente, si determinerebbe un limite ingiustificato all’esplicazione dell’autonomia privata, che potrebbe dispiegarsi in una sorta di peculiare – ed inammissibile – “conversione” d’ufficio dell’atto di autonomia da trasferimento definitivo in mero obbligo.

Per le superiori considerazioni, le Sezioni Unite ritengono che l’orientamento secondo il quale in sede di divorzio congiunto e di separazione consensuale siano ammissibili accordi tra le parti, che non si limitino all’assunzione di un mero obbligo preliminare, ma attuino in via diretta ed immediata il trasferimento della proprietà di beni o di altro diritto reale sugli stessi, meriti di essere condiviso e confermato.

IL PROFILO RELATIVO DELLA TRASCRIZIONE DEL TITOLO

Altro aspetto rilevante esaminato dalla sentenza in commento è quello relativo alla trascrizione del verbale, considerato che l’ordinanza di rimessione aveva rilevato che la disposizione di cui al comma 1 bis, aggiunto della L. n. 52 del 1985, art. 29, D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, convertito nella L. n. 122/2010 aveva dato luogo a contrasti interpretativi fra i giudici di merito.

Sul punto la Corte ribadisce che l’accordo, confluito nel verbale di udienza, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., fornendo tuttavia alcune precisazioni.

Si specifica che il verbale di conciliazione giudiziale presenta tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita, essendo il giudice, al pari di un notaio, un pubblico ufficiale ed assumendo detto verbale il valore di vero e proprio atto pubblico (Cass., 30/10/2020, n. 24087).

La Corte, inoltre, interviene sulla disposizione della L. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 29, comma 1- bis, introdotto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, a norma del quale “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. “La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale”. “Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

La norma ricollega l’ipotesi della nullità alle sole ipotesi di mancanza nell’atto di “identificazione catastale”, “riferimento alle planimetrie depositate in catasto” e “dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. Pertanto, trattasi di nullità testuale (art. 1418 c.c.) di carattere oggettivo, a prescindere dalla esattezza e veridicità degli allegati e della dichiarazione, la cui mancanza determina la nullità dell’atto.

La nullità della norma in esame, pertanto, non è funzionalmente ricollegata al soggetto che compie l’accertamento, peraltro neppure individuato nella prima parte dell’art. 29, potendosi verificare la causa di nullità qualunque sia il soggetto che roga l’atto (un notaio o le parti private nella scrittura privata autenticata).

Non esiste pertanto alcuna riserva di legge in favore del Notaio per gli atti taslativi immobiliari (l’unica previsione riferita al notaio, contenuta nell’ultima parte della norma, non è sanzionata dalla nullità dell’atto), e per l’effetto gli incombenti relativi alla verifica della coincidenza dell’intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari – previsti dall’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29 – ben possono essere eseguiti dall’ausiliario del giudice, sulla base della produzione della documentazione il cui onere grava sulle parti.

Ne discende che l’accordo traslativo adottato dai coniugi è idoneo al trasferimento ma deve contenere tutte le indicazioni richieste, a pena di nullità, dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis.

IL TRASFERIMENTO DEI BENI IN FAVORE DEI FIGLI MINORI ED I PROFILI DI RAPPRESENTANZA DEL MINORE

Nel vasto ambito delle questioni relative ai trasferimenti patrimoniali effettuabili in occasione di separazione o di divorzio un capitolo di un certo rilievo è costituito dalle attribuzioni in favore della prole[7].

La giurisprudenza, nel corso degli anni, si è sforzata di individuare la tipologia di contratto (tipico o atipico) nella quale inquadrare il trasferimento di un bene immobile in favore di un minore (con effetto integralmente solutorio o meno) in adempimento di un obbligo normativo di mantenimento ed in sostituzione di un assegno periodico. La questione interpretativa, peraltro, è collegata con l’ammissibilità del trasferimento e della costituzione, a titolo di contributo gravante sul genitore, di diritti (per lo più reali) in capo alla prole minorenne.

Alcuni fanno rientrare il trasferimento nell’ambito della donazione (il coniuge si impegna a donare ai figli).

A tale orientamento si contrappore altro indirizzo giurisprudenziale che, al contrario, ammette la validità di accordi traslativi e/o costitutivi di diritti reali, dando per scontata la soluzione in termini di adempimento di un obbligo.

Altra giurisprudenza di legittimità ha stabilito che è di per sé valida la clausola dell’accordo di separazione che contenga l’impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, «trattandosi di pattuizione che dà vita ad un contratto atipico, distinto dalle convenzioni matrimoniali e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.».

Uno sforzo ermeneutico maggiore è dato rinvenire in altre decisioni di merito che hanno inquadrato l’impegno a trasferire un immobile in favore della prole nello schema del contratto a favore di terzi. Sotto tale profilo, si è qualificato come contratto a favore di terzi (e non promessa di donazione) l’accordo con il quale un coniuge, nell’àmbito della regolamentazione dei rapporti patrimoniali posta in essere in sede di separazione personale, si è obbligato nei confronti dell’altro al trasferimento gratuito in favore della prole di un immobile (casa familiare) successivamente all’omologa degli accordi di separazione.

In tempi più recenti si è ritenuto che l’accordo con cui venga pattuito il trasferimento di un diritto reale al figlio minorenne, per provvedere una tantum al suo mantenimento, si può configurare come un contratto a favore di terzi, ex art. 1411 c.c. realizzante una liberalità indiretta, con conseguente non applicabilità dell’art. 782 c.c.

Peraltro l’inquadramento determina risvolti pratici di assoluto rilievo.

Infatti, il richiamo alla figura del contratto a favore di terzi consente di risolvere anche il problema dell’eventuale necessità dell’autorizzazione ex art. 320 c.c. in ordine all’acquisto in capo al minore. L’acquisto, in effetti, si pone quale effetto immediato e diretto del contratto (art. 1411 cpv. c.c.), come rilevato da una pronunzia di legittimità, secondo cui «Nel contratto a favore di terzo, secondo la previsione dell’art. 1411 cod. civ., la validità ed operatività della convenzione medesima postula soltanto la ricorrenza di un interesse dello stipulante (art. 1411 citato, primo comma), senza che si richieda l’osservanza delle norme sulla rappresentanza dei minori, ove stipulato dal genitore a vantaggio del figlio minore». Ne consegue che, non essendo richiesta alcuna dichiarazione d’accettazione da parte del terzo beneficiario, nessuna autorizzazione ai sensi dell’art. 320 c.c. dovrà ritenersi necessaria.

Al terzo beneficiario (minore) è attribuito il diritto di paralizzare l’eventuale revoca o modifica della stipulazione in suo favore mediante dichiarazione di voler profittare della medesima oppure, al contrario, il diritto di rinunziare a questa mediante «rifiuto di profittarne» (art. 1411 cpv. c.c.). A questi particolari atti dovrà riconoscersi il carattere di straordinaria amministrazione e tale autorizzazione ad emettere la relativa dichiarazione è regolata dall’art. 320 c.c. e non potrà ritenersi «assorbita» dal controllo giudiziale in sede di omologazione, posto che nessuna deroga al riguardo è desumibile dall’ordinamento, né l’effettuazione di un identico tipo di controllo da parte di un distinto organo giudiziario costituisce di per sé motivo per fondare un’interpretazione abrogatrice di una precisa disposizione codicistica.

Alla luce di quanto sopra esposto, riconducendo la situazione in esame allo schema del contratto a favore di terzo, non appare sostenibile negare il trasferimento immobiliare a favore del figlio, previsto in un accordo di separazione tra coniugi, e la successiva trascrizione in assenza del provvedimento del giudice tutelare, non essendo affatto necessaria l’adesione del terzo beneficiario. Ne consegue che, nel caso di specie, come già ricordato, l’accordo concluso tra i genitori non richiede l’osservanza delle norme sulla rappresentanza dei minori e tale intesa sarà trascrivibile a prescindere dall’eventuale adesione, la quale viene ad incidere non sulla produzione degli effetti ma solo sulla possibilità di revoca da parte dello stipulante o di rifiuto da parte del terzo.

Da ultimo, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74 deve essere interpretato nel senso che l’esenzione «dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa» di «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio» si estende «a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi», in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.

NEGOZIAZIONE ASSISTITA

L’interpretazione adottata dalle Sezioni Unite si pone in linea con le affermazioni della più recente giurisprudenza di legittimità in riferimento all’art. 29, comma 1-bis, L. n. 52/1985.

Invero, una pronuncia favorevole in ordine alla ammissibilità degli accordi traslativi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto proviene da Cass. civ., Sez. II, 21/01/2020, n. 1202, in materia di negoziazione assistita, secondo cui quando l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina ex art. 6 D.L. n. 132/2014 deve integrarsi con quella di cui all’art. 5, III comma, D.L. n. 132[8].

Tale pronuncia costituisce la conferma dell’ammissibilità di tali accordi nella sistemazione dei rapporti economici nella crisi coniugale e della non esclusività della funzione certificatoria in capo al notaio, essendo a quest’ultimo equiparabile qualunque pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

I CONTENUTI NECESSARI DELL’ATTO

Sotto il profilo del contenuto necessario per consentire la trascrizione del verbale di udienza è necessario raccordare tale attività giudiziale con i requisiti previsti dall’art. 29, l. n. 52/1985, introdotto dall’art. 19, D.L. n. 78/2010 e con la normativa di settore.

La norma richiamata prevede che gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione, lo scioglimento di comunione di diritti vari su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere a pena di nullità:

  • l’identificazione catastale;
  • il riferimento alle planimetrie depositate in catasto;
  • la dichiarazione resa dagli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale.

Inoltre, affinché possa avere immediata efficacia traslativa, gli accordi dei coniugi è necessario che:

  • l’accordo venga riportato nel verbale di udienza (atto pubblico) redatto dal cancelliere ausiliario del Giudice;
  • nel verbale venga riportata l’attestazione da parte del cancelliere che le parti hanno prodotto gli atti e le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1 bis, l. n. 52/1985.

Non produce nullità del trasferimento il mancato compimento da parte dell’ausiliario del giudice dell’ulteriore verifica circa l’intestazione catastale dei beni e la conformità risultante dai registri immobiliari.

Si assiste pertanto a due distinte fasi:

  • una attinente alla rituale produzione in giudizio (il cui onere grava a carico delle parti) della documentazione prevista dalla suddetta norma al fine di determinare gli effetti traslativi dell’accordo – di competenza dell’avvocato;
  • l’altra attinente all’attività di verifica di detta produzione che viene consolidata nell’atto pubblico (verbale) redatto dall’ausiliario del Giudice che deve anche attestare la avvenuta produzione in giudizio della prescritta documentazione – di competenza del cancelliere.

Ciò premesso, appare prevedibile, a seguito della sentenza a sezioni unite, la insorgenza di difficoltà operative, tenuto conto del maggior onere posto a carico dei cancellieri (i quali si troverebbero gravati da responsabilità prima inesistenti) e della prevedibile cautela da parte degli avvocati indotti (stante il rischio di errori tecnici in grado di ripercuotersi sulla trascrizione e/o una successiva compravendita) a rivolgersi al notaio per la formalizzazione della cessione concordata.

È infatti necessario che l’atto sia munito di tutti i requisiti di legge per essere considerato ricevibile dalla Competente Conservatoria dei Registri Immobiliari per la trascrizione degli atti traslativi.

Un profilo che merita uno specifico approfondimento è quello relativo alla validità dell’atto sotto il profilo del complesso tema della conformità urbanistica.

L’atto di trasferimento immobiliare, infatti, per essere valido deve avere ad oggetto edifici commerciabili, ossia dotati dei requisiti minimi di regolarità urbanistica senza i quali gli stessi sarebbero “totalmente abusivi” e quindi incommerciabili. Invero, negli atti di trasferimento devono sussistere a pena di nullità due requisiti, uno di carattere formale e l’altro di carattere sostanziale, per la validità dell’atto.

Il requisito formale consiste in varie menzioni prescritte che variano in relazione al dato cronologico dell’epoca di costruzione, in quanto:

-devono essere menzionati gli estremi della licenza edilizia (per costruzioni eseguite prima del 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della legge n. 10/1977 c.d. “Legge Bucalossi”), della concessione edilizia (per costruzioni eseguite dopo il 30 gennaio 1977 e prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del T.U. in materia edilizia di cui al d.P.R. n. 380/2001) o del permesso di costruire (per costruzioni eseguite dal 30 giugno 2003 in poi) ovvero della DIA denuncia di inizio attività per interventi ex art. 22, terzo comma, d.P.R. n. 380/2001

-In caso di costruzione realizzata in assenza di provvedimento autorizzativo oppure in totale difformità dallo stesso, occorre menzionare gli estremi del titolo abilitativo in sanatoria (ai sensi della legge n. 47/1985, della legge n. 724/1994 o del D.L. n. 269/2003 e relative leggi regionali di attuazione), ovvero la sanatoria “a regime” (ai sensi dell’art. 13, legge n. 47/1985 in vigore sino al 29 giugno 2003 ovvero dell’art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 Testo Unico in materia edilizia in vigore dal 30 giugno 2003);

-Per gli interventi edilizi anteriori al 1° settembre 1967 è valido l’atto nel quale anziché gli estremi della licenza sia riportata o allegata apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nella quale venga attestato l’avvenuto inizio dei lavori di costruzione in data anteriore al 1° settembre 1967.

La mancanza nell’atto del requisito formale delle menzioni prescritte dalla legge determina la “nullità testuale” dell’atto.

Inoltre, per la validità degli atti non può ritenersi sufficiente il mero requisito formale, ossia la semplice menzione del provvedimento autorizzativo, ma deve ricorrere anche il requisito sostanziale dell’effettiva sussistenza del provvedimento o dell’effettiva costruzione del fabbricato ante 1/09/1967, atteso che la funzione della normativa di cui agli artt. 17 e 40, legge n. 47/1985, ed all’art. 46 T.U. è la decisa repressione degli abusi edilizi. Tale norma, peraltro,  al comma 5-bis, nell’ampliare l’obbligo delle menzioni necessarie ai fini della validità degli atti, ha ricompreso, ai fini della commerciabilità degli immobili, anche agli interventi di ristrutturazione, stabilendo che sono nulli e non possono essere stipulati gli atti notarili aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici, sui quali siano stati eseguiti interventi edilizi mediante denuncia di inizio attività qualora negli stessi non siano indicati gli estremi della denuncia stessa.

Peraltro, nella materiain esame, è intervenuta la Cassazione civile, SS.UU., sentenza 22/03/2019 n° 8230, la quale ha chiarito che la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito dell’art 1418 c.c. comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità testuale, con tale espressione dovendo intendersi un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza, nell’atto, della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto, dalla lettura del combinato disposto del primo e quarto comma dell’art. 46 cit., in linea con i criteri interpretativi previsti dall’art. 12 Preleggi, è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato. Pertanto, gli atti di trasferimento di immobili difformi da quelli descritti nel titolo urbanistico sono validi a condizione che gli estremi del titolo menzionati nell’atto siano reali (non mendaci) e riferibili a quell’immobile, mentre è irrilevante e non costituisce motivo di nullità la conformità o difformità dell’immobile rispetto al titolo menzionato.

Il nuovo arresto della Suprema Corte scioglie un nodo importante, capace peraltro di incidere sul principio della continuità delle trascrizioni di cui all’art 2650 c.c., assicurando la commerciabilità giuridica del bene immobile e rendendo più agevole il compito dei notai e dei professionisti del settore. Pertanto, alla luce del nuovo arresto delle sezioni unite, un bene immobile è incommerciabile ed il relativo atto di trasferimento è nullo se: 1) il venditore non dichiari in atto in forza di quale titolo è stato costruito l’immobile che intende alienare; 2) il venditore dichiari che l’immobile è stato costruito in forza di titolo abilitativo che poi si dimostri inesistente o riferito ad un fabbricato diverso da quello venduto. Di contro, l’atto, verificata l’insussistenza delle due condizioni, resta valido anche se poi si dimostri che il manufatto sia stato realizzato in maniera difforme rispetto a quanto previsto dal titolo stesso.

Possono peraltro verificarsi ipotesi particolari in presenza di un contratto preliminare sotto il profilo della compatibilità urbanistica in relazione al disposto di cui all’art. 58 L. 662/1996.

Invero, per come accertato anche dalla Cassazione nel caso di specie (Cass. civ., Sez. II, Sent. 26/09/2016, n. 18834), al fine di consentire un valido trasferimento del bene è necessaria la acquisizione della relativa documentazione richiesta dalla norma (L. n. 662 del 1996art. 2, comma 58, prevede la acquisizione della ricevuta del pagamento della differenza dell’oblazione, ricevuta del pagamento degli oneri concessori, certificato del Comune attestante la inesistenza di vincoli, modello 3 S.P.C. per verificare l’effettivo inserimento della particella dal catasto terreni al catasto urbano, autorizzazione del Comune per procedere alla frazionamento dell’immobile e istanza in sanatoria del 23/2/96 per copia rilasciata dal Comune). Invero, per come chiarito dalla Suprema Corte, si evidenzia la insufficienza della dichiarazione dell’alienante degli estremi della domanda in sanatoria con la prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione e la necessità, di contro, di considerare il disposto della L. n. 662 del 1996art. 2, comma 58, che richiede la necessaria verifica della conformità tra la documentazione offerta dalla promittente venditrice e la documentazione prevista dalla richiamata disposizione[9].

Anche la Corte di Appello di Catania, con la sentenza n. 1188/2019 pubbl. il 22/05/2019, è intervenuta sulla questione evidenziando che la documentazione elencata nella Legge 662/96 è di gran lunga più ampia di quella richiamata dalla L. 47/85, comprendendo atti e certificazioni indispensabili alla stesura del contratto definitivo di trasferimento ed in quanto attestanti l’avvenuta regolarizzazione della situazione dell’immobile. Pertanto, per la Corte etnea, “solo in presenza di tali documenti il notaio può rogare l’atto traslativo della proprietà e, conseguentemente, viene adempiuto l’obbligo assunto dal promittente venditore nel contratto preliminare”, pertanto ritenendo indispensabile per il trasferimento “la ricevuta di pagamento degli oneri concessori, il certificato del Comune attestante la inesistenza di vincoli, il modello 3 S.P.C. per verificare che la particella su cui insiste l’immobile in oggetto fosse passata dal catasto terreni a quello urbano, l’autorizzazione del Comune al suo frazionamento”[10].

Appare evidente che, in caso di assegnazione di immobile, sul quale insiste un fabbricato in corso di sanatoria ai sensi della L. 662/96, la mancata produzione della documentazione comporterebbe la possibile frustrazione del trasferimento del bene esponendo il coniuge assegnatario (o, peggio ancora, i minori) a estenuanti ed annose vicende processuali senza possibilmente godere del mantenimento (al quale si era rinunciato a fronte della assegnazione del bene).

 LA RESPONSABILITA’ DELL’AVVOCATO

Dal momento che l’intento delle parti è quello di sistemare definitivamente ed in considerazione della crisi coniugale le pendenze che un (più o meno lungo) periodo di vita comune ha determinato, è evidente che la prestazione fornita dal professionista incaricato deve assicurare l’assetto di interessi concordato in forma legale, stabile e con immediata e valida efficacia traslativa.

Pertanto appare estremamente articolato e complesso il ruolo dell’avvocato in riferimento ai diversi possibili aspetti della delicata fase della produzione documentale, sia sotto il profilo della esatta corrispondenza dei dati forniti (ad esempio individuazione della particella catastale o di tutte le particelle catastali) che in ordine al profilo della completezza degli atti (in relazione agli aspetti urbanistici, fiscali, catastali, della continuità delle trascrizioni, ecc.) di norma riservati al vaglio del Notaio rogante (si ribadisce che non produce nullità del trasferimento il mancato compimento da parte dell’ausiliario del giudice dell’ulteriore verifica circa l’intestazione catastale dei beni e la conformità risultante dai registri immobiliari)[11].

Diverse potrebbero essere le criticità quali:

-la necessità di una rettifica notarile, per la ipotesi di errori materiali nella indicazione delle particelle (errata indicazione della particella catastale o non integrale inserimento di tutte le particelle dell’immobile);

-il rifiuto della Conservatoria dei Registri Immobiliari alla trascrizione dell’atto, laddove lo stesso risulti non ricevibile o non conforme o privo delle formalità richieste dalla legge (omessa produzione APE, mancanza dell’atto di provenienza, mancata consecutività delle trascrizioni);

-la non opponibilità della trascrizione rispetto ad eventuali iscrizioni pregiudizievoli o vincoli esistenti sul bene immobile;

-il mancato riconoscimento di eventuali agevolazioni fiscali se non correttamente e tempestivamente richieste;

– l’ipotesi di nullità e/o incommerciabilità del bene trasferito in caso di non integrale rispetto della normativa urbanistica. 

In considerazione di quanto sopra, appare evidente la responsabilità dell’avvocato nell’istruire, in maniera adeguata e completa, il fascicolo al fine di pervenire ad un atto pubblico definito, valido ed idoneo alla trascrizione. Invero, è sufficiente un semplice errato numero catastale o una dimenticanza per esporre la parte ai costi di una rettifica notarile o alla necessità di affidarsi, in ogni caso, ad un Notaio per un atto in rinnovazione, qualora non ci si trovi in addirittura in presenza di atto nullo non sanabile.

Dal punto di vista della responsabilità, la specifica attività professionale rientra nel mandato difensivo conferito dalla parte e, pertanto, soggiace alle ordinarie regole in materia di responsabilità civile risarcitoria e, eventualmente, deontologica a carico del professionista incaricato.

Per come noto, in materia di responsabilità civile dell’avvocato, le norme che vengono in rilievo sono contenute segnatamente nel Codice civile, nella legge professionale forense e nel Codice deontologico.

Tra le molteplici disposizioni, si richiamano:

-Art. 1176 c. 2 c.c. la diligenza media del professionista. Secondo la consolidata giurisprudenza, devia dal precetto di cui all’art. 1176 c. 2 c.c. il professionista che tenga una condotta diversa da quella del professionista “medio”, ossia la figura ideale che costituisce il parametro di valutazione della condotta che si assume colposa, non corrisponde ad un professionista “mediocre”, ma ad un professionista “bravo”, ovvero sufficientemente preparato, zelante e solerte» (ex multis, Cass. 13777/2018; Cass. 24213/2015, Cass. 10289/2015).

-Art. 1218 c.c. in materia di responsabilità per inadempimento.

-Art. 2236 c.c. rubricato “responsabilità del prestatore d’opera”, dispone che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. La norma esclude la responsabilità per colpa lieve.

Legge professionale forense (legge 247/2012), tra le varie norme si citano: art. 3 rubricato “Doveri e deontologia”, art. 14 “Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni”,

Codice deontologico forense (approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31.01.2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 241 del 16.10.2014), tra le varie disposizioni si citano: art. 10 “dovere di fedeltà”, art. 12 “dovere di diligenza”, art. 14 “dovere di competenza”, art. 26 “adempimento del mandato”, art. 27 “doveri di informazione”.

LA RESPONSABILITA’ DEL CANCELLIERE

Tale assetto determina l’attribuzione, in capo al cancelliere, di competenze e responsabilità ulteriori rispetto a quelle ordinariamente svolte.

Invero, l’ausiliario del giudice è sostanzialmente ufficiale pubblico rogante.

Sebbene allo stesso non venga richiesta una analisi ulteriore rispetto alla produzione documentale versata in atti (il cancelliere non è tenuto alla visura dei pubblici registri o a verificare la sussistenza di un vincolo pregiudizievole sul bene, né alla verifica di conformità alle planimetrie), tuttavia è tenuto a rilasciare la attestazione del rispetto della normativa specifica richiesta.

Nella sostanza, indipendentemente dalla correttezza del contenuto, il cancelliere deve attestare la indicazione in atti della individuazione catastale dei beni, del riferimento alle planimetrie depositate e la dichiarazione di conformità resa dagli intestatari; deve altresì curare direttamente la stesura del verbale, considerato che nel medesimo atto – su indicazione delle parti – devono essere correttamente indicate le parti (con i relativi dati anagrafici e fiscali) e deve emergere, in maniera chiara ed espressa, la volontà relativa agli effetti traslativi. Così come il Notaio redige l’atto, raccogliendo la volontà delle parti, così il cancelliere è tenuto a redigere il verbale nel quale, recependo l’accordo dei coniugi, prende corpo il negozio giuridico con effetti traslativi.

È pertanto il cancelliere che deve curare l’attestazione del rispetto della normativa specifica in modo da poter richiedere direttamente al Conservatore la trascrizione dell’atto.

Dal punto di vista della responsabilità, il cancelliere è un pubblico ufficiale chiamato ad effettuare le verifiche documentali e redigere un atto pubblico. Peraltro, il rapporto tra il cancelliere, da un lato, e la parte privata, dall’altro, ha certamente carattere pubblicistico [12].

Al fine di individuare la normativa applicabile in tema di responsabilità, può essere utile il richiamo all’art. 60 C.p.c., per il quale il cancelliere (tra le altre ipotesi) incorre in responsabilità civile ove compia un atto nullo con dolo o colpa grave. Peraltro, la giurisprudenza ha definito concretamente i limiti oggettivi e soggettivi della responsabilità civile dei cancellieri stabilendo che la trascrizione degli atti, delle domande giudiziali, nonché delle sentenze e dei decreti che vi sono soggetti costituisce, ai sensi della L. 25.6.1943, n. 540 (ora sostituita dal D.P.R. 26.10.1972, n. 635), un obbligo del cancelliere che se non adempiuto comporta l’applicazione dell’art. 60 (C. 1242/1978). 

Con specifico riguardo alla fattispecie ex art. 60, n. 2, va tuttavia individuato il presupposto valido ad integrare la responsabilità civile del cancelliere ravvisabile nella declaratoria di nullità dell’atto realizzato; inoltre la disposizione normativa in esame richiede in aggiunta, quale elemento presupposto dell’inadempimento, la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo all’organo agente. Ne deriva che, se il cancelliere pone in essere un atto nullo con colpa lieve, non è passibile di responsabilità civile.

Per tali motivi, appare evidente la inidoneità della normativa specifica a prevedere e regolamentare le diverse ipotesi di responsabilità del cancelliere (ad esempio nel caso di atto valido ma inidoneo alla trascrizione), specie se raffrontate alle responsabilità codificate a carico della figura del Notaio, anch’esso pubblico ufficiale rogante.

Invero, il Notaio può incorrere in responsabilità nell’esercizio della sua attività e in virtù della sua qualità di pubblico ufficiale, se non si attiene a una serie specifica di regole fissate sia dalla legge che dal codice deontologico, considerando, peraltro, che, nell’esercizio delle funzioni ricoperte, il Notaio deve garantire che l’atto che redige sia valido, conforme alla legge e conforme alla volontà delle parti e che gli effetti giuridicinon devono essere pregiudicati da vincoli o da diritti di terzi dei quali il notaio non abbia prima avvertito le parti. In particolare, la responsabilità civile del notaio espone il professionista al rischio del risarcimento dei danni arrecati a causa dell’inadempimento dei doveri che gli derivano dalla professione.

Per le superiori considerazioni, probabilmente sarebbe opportuno, anche nella ipotesi di accordo coniugale con immediata efficacia traslativa, estendere le garanzie in favore delle parti private (altrimenti maggiormente tutelate innanzi il Notaio) riconoscendo, ai fini della determinazione delle responsabilità a carico dei cancellieri (e stante anche la analogia di funzioni svolte in concreto) le ipotesi di responsabilità ed i rimedi risarcitori previsti nei confronti del Notaio in relazione alle operazioni di compravendita immobiliari.

PROTOCOLLO

Appare pertanto evidente, per un effettivo ricorso all’accordo dei coniugi con immediati effetti traslativi di beni immobili, la utilità della predisposizione di un protocollo operativo, peraltro sollecitato dalla Suprema Corte, che possa fornire un utile strumento per gli operatori.

Sotto tale profilo, analizzando i protocolli già emessi da altri uffici giudiziari[13], anche anteriori alle sentenza in commento, qualora si pervenga a conclusioni congiunte e le parti intendano ricomprendere tra le condizioni patrimoniali concordate un trasferimento immobiliare con effetti reali o la costituzione di diritti reali immobiliari, l’accordo dei coniugi dovrebbe contenere i seguenti elementi:

-data e luogo di nascita, codice fiscale e residenza anagrafica delle parti;

– la chiara ed inequivoca manifestazione di volontà delle parti di procedere al trasferimento immobiliare;

-la indicazione del diritto reale che viene trasferito o costituito e la sua quota;

– l’identificazione degli immobili, con specificazione della natura o categoia, del foglio, del mappale, del subalterno e della rendita catastale con indicazione di almeno tre confini (per gli immobili in corso di costruzione i dati di identificazione catastale del terreno su cui sorgono);

-i dati di provenienza dell’immobile, con indicazione del Notaio rogante, della data dell’atto e degli estremi di registrazione e trascrizione;

la eventuale esistenza di ipoteca o altra iscrizione pregiudizievole presso i competenti uffici, descrivendo il contenuto del gravame;

la rinuncia alla iscrizione di ipoteca legale, salvo diversi specifici accordi tra le parti;

– in caso di corrispettivo in denaro, la indicazione dei mezzi di pagamento;

larichiesta che la cessione venga dichiarata esente da ogni tassa o imposta (ad esempio ai sensi dell’art. 19 legge 6 marzo 1987 n. 74) o di applicazione di ulteriori agevolazioni fiscali.

La relativa istanza dovrebbe, poi, essere corredata dalla seguente documentazione: 

– documenti di riconoscimento e codice fiscale delle parti;

– copia atto di provenienza dell’immobile oggetto di trasferimento;

-visura catastale e relative planimetrie;

– modello 3 S.P.C. per verificare il passaggio catastale dal catasto terreni a quello urbano;

-visura ipocatastale storica ultraventennale sui beni o relazione notarile;

– certificazione urbanistica (in caso di terreno: certificato di destinazione urbanistica in corso di vigenza; in caso di fabbricato dichiarazione in ordine alla esistenza ed alla regolarità dei titoli edilizi: licenza edilizia, concessione edilizia, permesso a costruire, DIA, concessione in sanatoria, o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per le opere iniziate anteriormente al 01.09.1967; 

eventuale certificazione di agibilità o abitabilità;

-Attestato di Prestazione Energetica previsto dal D.Lgs n. 192/2005 rilasciato da tecnico abilitato;

dichiarazione della parte alienante ex art. 29, comma 1 bis, legge 27.2.1985 n.52, introdotto dall’art. 19, comma 14 D.L. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, sulla conformità oggettiva dei dati catastali dell’immobile oggetto di trasferimento (es: la parte cedente, ai sensi dell’articolo 19 comma 14 D.L 78/2010 convertito nella legge n. 122/2010, dichiara che i dati catastali sopra menzionati si riferiscono alle planimetrie depositate in catasto di (Comune) prot. n…del…che si allegano al presente ricorso e che i sopra menzionati dati catastali e le planimetrie depositate in catasto e allegate al presente ricorso sono conformi allo stato di fatto); la predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale;

-dichiarazione di parte alienante, ex art. 29, comma 1 bis, legge 27.2.1985 n.52, introdotto dall’art. 19, comma 14 D.L. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, sulla conformità soggettiva degli intestatari catastali alle risultanze dei registri immobiliari;

-nel caso di alloggio di edilizia agevolata o convenzionata, eventuali autorizzazioni previste dalla convenzione o dalla delibera di ammissione al contributo pubblico e, se prevista, la certificazione rilasciata dal comune in ordine alla sussistenza dei requisiti oggettivi in capo al cessionario ed in ordine al prezzo massimo di cessione;

-in caso di beni soggetti a vincolo di cui al D.Lgs 42/04, dichiarazione di impegno dei coniugi alla prescritta denuncia di trasferimento disciplinando con apposita clausola gli effetti dell’eventuale esercizio della prelazione;

-Autorizzazione del giudice tutelare in relazione alle ipotesi di trasferimento in favore dei minori nei casi richiesti dalla normativa vigente [14].

Da ultimo, tenuto conto delle disponibilità dell’Ufficio di Cancelleria, deve poi essere definito l’onere della trascrizione e voltura del verbale presso il competente ufficio della pubblicità immobiliare, se a carico della Cancelleria o carico delle parti esonerando il Cancelliere dalle responsabilità connesse a tale incombente.

Catania lì 7 febbraio 2021

Avv. Maria Giovanna Cannatella

STUDIO LEGALE CANNATELLA – 95129 Catania (CT) – Via Monserrato n. 48

C.F. CNNMGV60A42F258P- tel. fax 095/7169227


[1] La posizione più restrittiva ritiene che gli accordi tra i coniugi in sede di separazione e divorzio non possano avere un contenuto ulteriore rispetto a quello necessario. Non sussiste spazio ai trasferimenti immobiliari, che anche se contenuti nell’accordo e nel verbale di separazione, non potrebbero essere trascritti, ma richiederebbero sempre e comunque il successivo intervento del notaio; in “Divorzio congiunto e separazione consensuale, ammissibile il trasferimento dei beni senza notaio” di Sara Occhipinti – Avvocato Pubblicato il 06/08/2021

[2] L’obbligazione assunta dinanzi al giudice di operare un trasferimento immobiliare può trovare esecuzione solo attraverso un apposito atto di attuazione dell’obbligazione di trasferire. Non è chiaro però se questo debba avere natura di atto bilaterale (quindi richiedente la necessaria manifestazione di volontà del destinatario dell’attribuzione) ovvero di un atto unilaterale traslativo (prescindente quindi dall’accettazione dell’accipiens), o, ancora, quella di proposta ex art.1333 c.c. (che presuppone la mancanza di rifiuto dell’accipiens). Proprio l’ultima di quelle appena indicate è la soluzione adottata dalla Cassazione, la quale ha escluso che l’obbligo a trasferire de quo si sostanziasse in un contratto preliminare (nello specifico un preliminare di contratto ex art.1333), ravvisandone invece un’ipotesi di vero e proprio contratto (definitivo) con obbligazioni a carico del solo proponente.

Quanto al successivo atto di trasferimento, una volta scartata la via della compravendita e della donazione, restano tre possibilità: il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente ex art 1333 c.c., il negozio traslativo unilaterale o pagamento traslativo (fattispecie dibattuta), il negozio traslativo bilaterale.  Per la prima soluzione si è già espressa la Corte di cassazione, anche se criticata da chi ritiene che proporre un’estensione analogica dell’art.1333 c.c. sia inaccettabile, stante il carattere eccezionale della norma. Del resto anche le altre due soluzioni prospettate non sono accettabili perché il negozio traslativo unilaterale (o pagamento traslativo) riconducibile alla categoria di cui all’art 1176 c.c. è svincolato da ogni forma di accettazione o di mancato rifiuto da parte del destinatario. Inoltre, contro questa soluzione militano anche le persistenti incertezze sull’ammissibilità nel nostro ordinamento di un trasferimento di proprietà mediante atti a struttura unilaterale, visto il fondamentale principio consensualistico che regola la materia contrattuale (Cfr. “Atti di trasferimento immobiliare e crisi coniugale” di Carmen Oliva, pubblicato in Diritto Civile, Justowin.it in data 04.12.2017).

[3] Il verbale di separazione consensuale, contenente clausole relative al trasferimento di immobili tra i coniugi, è un contratto atipico con cui le parti attuano un regolamento dei loro rapporti in occasione della separazione ed è un atto pubblico costituente valido titolo per la trascrizione (in questo senso: Trib. Salerno, 04/07/2006; Trib. Pistoia, 01/02/1996; App. Genova, 27/05/1997; App. Milano, 12/01/2010).

[4] L’interpretazione adottata dalle Sezioni Unite si pone in linea con le affermazioni della più recente giurisprudenza di legittimità in riferimento all’art. 29, comma 1-bis, L. n. 52/1985. Al riguardo è stato osservato che la dichiarazione richiesta dall’art. 19, XIV comma, D.L. 31/05/2010, n. 78 riguarda la conformità allo stato di fatto della planimetria dell’immobile e dei dati catastali, in quanto questi ultimi costituiscono gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali. Da cui, l’omissione, limitatamente a tale dichiarazione, determina la nullità assoluta dell’atto, poiché la norma assolve ad una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio. Non solo, in quanto, ad opinione dei giudici di legittimità, la disposizione de qua è applicabile agli atti compiuti con il ministero del notaio ed a tutti i trasferimenti immobiliari che, oltre che in forma giudiziale, ex art. 2932 c.c., possono essere effettuati anche in un verbale di conciliazione giudiziale o di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta (si richiama pubblicazione “Circa la possibilità di trasferire i beni immobili da un coniuge all’altro o a favore dei figli” di Ludovica Ionà, pubblicato il 24 agosto 2021 Civile, Famiglia, www.salvisjuribus.it).

[5] Cass., 11/04/2014, n. 8611; Cass., 21/07/2016, n. 15073; Cass., 03/06/2016, n. 11507; Cass., 29/08/2019, n. 21828

[6] “Le SSUU dettano le condizioni per la validità dei trasferimenti immobiliari” mercoledì 25 agosto 2021, di Scalera Antonio – Consigliere Corte Appello di Catanzaro, in “Il Quotidiano Giuridico”

[7] Si richiama Giacomo Oberto, “Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative” Bologna, 14/11/2019

[8] Infine, la sentenza ricorda che una disciplina ispirata alla stessa ratio è nelle norme sulla negoziazione assistita, per quanto non applicabili ai rapporti familiari; in particolare, l’art. 5, d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014, prevede tra l’altro che «“Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».La norma sembra escludere, osserva la Corte, la necessità dell’atto pubblico innanzi al notaio. Identica previsione è contenuta nel d.lgs. n. 28/2010 con riguardo agli accordi di mediazione (Cfr. Separazione e divorzio: per trasferire un immobile basta il giudice o serve il notaio? La parola alle SS. UU., 05 marzo 2020, Valentina Papanice, su IlFamiliarista).

[9] Nello specifico “La corte territoriale, nell’affermare che per la stipulazione del contratto definitivo sarebbe stata sufficiente la dichiarazione da parte dell’alienante degli estremi della domanda in sanatoria con la prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione mostra di non considerare il disposto del comma 58 dell’articolo 2 della legge 662/96, trascurando di compiere la necessaria verifica della conformità tra la documentazione offerta dalla promittente venditrice al notaio incaricato della stipula dell’atto (e quella da tale notaio richiesta per procedere a detta stipula) e la documentazione prevista dalla richiamata disposizione” (Sentenza Cass. I sez.civ., 18834/2016).

[10] Per la Corte di Appello, sono il presenza della documentazione prevista per legge viene adempiuto l’obbligo assunto dal promittente venditore nel contratto preliminare “al fine di salvaguardare i promittenti acquirenti dell’acquisizione di un bene, le cui irregolarità non sono state sanate e che può essere soggetto anche alla demolizione; oltre alla disincentivazione delle violazioni della legge urbanistica, attraverso la sostanziale incommerciabilità del bene” (App. Catania, sentenza n. 1188 del 22 maggio 2019)

[11] In punto di responsabilità “Ammissibili, in sede di separazione consensuale o divorzio congiunto, gli accordi attuativi di un trasferimento immobiliare senza necessità di rogito notarile” di MAURIZIO BRUNO

[12] sul punto v. SEGRÈ, Del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario, in Comm. c.p.c. Allorio, I, 1, Torino, 1973, 664, e MONTESANO, ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, I, 2, Padova, 2001, 444), che si estende allo Stato in forza dell’art. 28 Cost.

[13] Cf. Protocollo del Tribunale di Siracusa del 16.11.2021; Protocollo del Tribunale di Perugia del 03 aprile 2013; Protocollo del Tribunale di Ravenna;

[14] Per quanto attiene il trasferimento dei beni immobili in favore di figli minori, non sarà richiesta la autorizzazione del giudice tutelare, salvo l’esercizio dei diritti e delle prerogative del terzo (di consolidamento del diritto e/o di rinuncia), essendo – solo in tal caso – necessaria espressa autorizzazione del giudice tutelare.

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