La storia del quinto quarto
Ci sono pietanze la cui preparazione avviene con alimenti che a molti fanno storcere il naso.
La cucina non è fatta solo di Chateaubriand o di crostacei alla newburg. Anche perché, nutrirsi è un bisogno primario. Per nutrirsi ci vogliono i mezzi. Il popolo spesso ha pochi mezzi e quindi nel corso dei secoli ha dovuto spesso fare i conti con la fame.
I motivi sono molteplici e le cause pure. Questo continuo bisogno ha fatto sì che si aguzzasse l’ingegno ed a volte si è, anche, riusciti a far di necessità virtù.
Al punto che quello che ne è nato ha assunto un posto di eccellenza. Ad esempio;
Nella cucina popolare romana, esiste la cucina detta del quinto quarto.
Espressione curiosa che serve a definire un sur plus di ricavo dell’animale macellato.
Di solito, nei mattatoi si divideva l’animale in quarti. Due anteriori e due posteriori.
All’epoca non esistevano sistemi di conservazione come i frigoriferi e la carne veniva trattata per la conservazione tramite salatura. Il sale aveva un valore enorme all’epoca e si usava con parsimonia.
Il valore del sale era talmente alto che chi lavorava nelle saline veniva pagato con lo stesso sale, da cui la parola Salario.
Si conservavano solo i tagli di carne più pregiati. Non ha senso spendere più per il conservante che per l’alimento da conservare, quindi le parti meno nobili dovevano essere consumate in fretta.
Fra queste c’erano soprattutto le interiora, le cosiddette frattaglie, cuore, rognoni, fegato, polmoni, trippa, testicoli, ed anche lingua, mammelle coda, zampe.
Fu proprio in virtù di questo che intorno ai mattatoi cittadini nacquero le prime osterie, dove venivano cucinate e consumate queste pietanze e spesso erano stesso i macellai del mattatoio, detti anche vaccinari, ad aprirle e siccome in buona parte arrivavano dalle zone di Amatrice, per indicarli si usava dire “Dar matriciano” Grazie alla loro abilità nel trattare e cuocere queste prelibatezze, oggi possiamo gustare piatti diventati simbolo della cucina romana come:
Coda alla vaccinara Coratella con i carciofi, La pajata d’agnello, La trippa alla romana.
Logicamente,non si usava farlo solo con le mucche o i vitelli,l’arte del recupero e del consumo di tutto ciò che è commestibile,riguardava tutti gli animali macellati,bovini,ovini,suini.
Anche in altri posti,cosi come a Roma,fare di necessità virtù,ha prodotto preparazioni che sono rimaste nella storia e nel consumo comune di varie città,basti ricordare
- la Zuppa Forte napoletana,
- ò Per e o Muss sempre napoletano,
- il Pani ca Meusa Palermitano,
- il Lampredotto fiorentino,
- il Morzeddhu calabrese,
- il Fritto Misto alla piemontese,
- la Coratella alla romana,
- il Fegato alla veneta,
- la Busecca milanese,
- La Cordula sarda,
- gli Gnummarielli pugliesi,
- le Mazzarelle teramane,
il Torcinello lucano di cui esistono anche versioni abruzzesi, molisane e pugliesi.
Questo solo per citare i piatti più famosi.
Oggi grazie alla riscoperta di vecchie ricette ed allo sdoganamento di molti cibi, ritenuti un tempo “da poveri”, molte di queste preparazioni vengono addirittura rivisitate e proposte in locali gourmet.
Se siete tra quelli che storcono il naso, mi sento di darvi un consiglio. Provate ad assaggiare una di queste pietanze e ne rimarrete stupiti.
Giorgio Ruggiu