Sanità italiana: una, nessuna, centomila.
Di Ezio Giuffrida
Il lombardo prof. Galli, oggi conosciutissimo per le sue interviste televisive sul coronavirus, ha dichiarato a chiare lettere che riguardo all’assistenza sanitaria in Italia ci sono cittadini di serie A e di serie B. I primi sono quelli del nord, I secondi stanno al sud. Il diritto alla salute non è uguale per tutti. La speranza di buona salute è di 60,5 anni al nord e di 56,6 al sud. Al nord il 49,6% dei malati cronici si percepisce in buona salute contro il 36,6% al sud.
Molti pazienti meridionali vanno a curarsi negli ospedali del nord, e ciò comporta un travaso di risorse finanziarie dai sistemi sanitari regionali del sud a quelli del nord, innescando un meccanismo che amplifica le differenze della qualità dell’offerta sanitaria nel nostro paese, poiché gli ospedali del nord possono investire di più per migliorare le strutture e la preparazione del personale sanitario, mentre le regioni del sud devono fronteggiare crescenti disavanzi di bilancio.
La regionalizzazione della sanità italiana è stata fortemente voluta dalla lega negli anni 90, ed ora le regioni più ricche del nord richiedono una totale autonomia dal governo centrale.
Il governo potrebbe rimediare a queste disparità obbligando le regioni a garantire i Lea (livelli essenziali di assistenza), ma molte regioni del sud (Puglia, Sicilia, Campania, Molise e Calabria) non sono capaci di erogare queste prestazioni, ed inoltre non esistono verifiche sulla qualità e sul costo dei servizi ospedalieri.
Le liste di attesa per ottenere un esame specialistico si sono amplificate a livelli paradossali, specie al sud, e ciò ha favorito il ricorso alla sanità privata, che non è evidentemente alla portata di tutti, ed ha inoltre diffuso scorrettezze di ogni genere.
Insomma, anche nel campo fondamentale della sanità ci sono due o più “Italie”, come in economia. Ed anche nel campo della sanità, che non dovrebbe rientrare in una logica di mercato che favorisce i più ricchi, e penalizza quelli che hanno la sola colpa di essere governati da politici meno efficienti, si fa avanti il business puramente commerciale.
Che la sanità pubblica del sud funzioni male giova alla sanità pubblica del nord, che acquisisce clienti nel vasto bacino dei malati meridionali, e giova alla sanità privata del sud, e del nord, che approfittano delle intollerabili liste di attesa del settore pubblico per riempire le proprie cliniche.
Quando la lega spinse per l’autonomia regionale in campo sanitario, disse che lo faceva anche per il bene del sud. Che il sud, lasciato ad autogestirsi, sarebbe stato costretto a responsabilizzarsi, e ad uscire dal circolo vizioso dell’inefficienza e della corruzione.
Sicuramente la lega rappresentava, e rappresenta, il comune sentire di molti nostri “fratelli” del nord Italia, che si sono stancati di darci soldi. Del resto, con la globalizzazione e l’allargamento del mercato europeo, oggi il meridione d’Italia non rappresenta più uno sbocco commerciale così importante per le produzioni settentrionali. Quindi, oggi più di ieri, non dobbiamo aspettarci aiuti gratis. Quando sono venuti, gli aiuti, era perché aiutavano chi ci aiutava: li aiutava a collocare I loro prodotti. Così come l’unione europea aiuta i paesi più sfavoriti, perché comprino le merci prodotte dai paesi più industrializzati, soprattutto dalla Germania.
Con gli aiuti abbiamo fatto troppo spesso il loro gioco: abbiamo comprato il “pesce”, e invece avremmo dovuto comprare la canna da pesca, e procurarci le giuste istruzioni dell’uso.
È il solo modo di liberarci finalmente dalla secolare accusa di parassitismo che il nord ci rivolge, indisturbato detentore delle virtù e delle conoscenze tecniche, che gli offrono la libidine di farci continuamente la morale.