Storia di una positività annunciata: Covid19 e disservizi, al danno la beffa.
Lunedì 14 Giugno avrei dovuto fare la seconda dose del vaccino, il Pfizer.
Sabato, per precauzione personale ed avendo saputo di essere entrata in contatto con un positivo, faccio il tampone.
Il cosiddetto tampone rapido.
Il primo risulta negativo, lo faccio in farmacia, ma il farmacista mi invita a farne un altro, dice che è a scopo precauzionale, poi scopro il perché.
Aspettando il secondo, mi spiega che c’è una piccola luce nella cartella che lo ha allarmato, meglio essere sicuri.
Il secondo è positivo.
Non ho sintomi, ho appena incontrato due miei amici e loro sono risultati entrambi positivi, ma non stanno molto bene. Io mi sento come prima, ma un po’ frastornata.
Il farmacista mi invita a fare il molecolare ed io mi reco all’hub di San Giuseppe La Rena.
Mi rifanno il rapido ed aspetto nel posteggio.
Mi chiamano ed a questo punto non ho più molti dubbi, quell’insidioso esserino c’è e la diagnosi è certa: sono positiva.
Dopo il molecolare, il cui esito mi verrà recapitato via mail dopo un paio di giorni, vado a casa ed inizia l’isolamento obbligatorio.
Stordita cerco di fare mente locale sul da farsi e fra tutti, ritenendomi fortunata perché assolutamente in forze e senza nessun problema particolare, incombe un problema: e la spazzatura?
Vivo da sola, per cui l’incombenza è mia e soltanto mia e dopo essermi etichettata nei modi meno felici per averla lasciata a casa più del dovuto, inizio a cercare una soluzione.
Scopro che esiste un numero dedicato, scopro che se ne occupa la Dusty e secondo quanto leggo, l’Asp dovrebbe dare appositi sacchetti e cartoni.
Non bisogna fare la differenziata, si tratta di rifiuti speciali che verranno trattati in quanto tali e bruciati nell’inceneritore.
Scrivo una mail, riproponendomi di chiamare l’indomani.
Alla mail nessuno risponde, ma al telefono mi rassicurano che mi contatteranno loro, l’ASP però non fornisce loro più nulla, per cui devo mettere tutto dentro sacchetti di cui dispongo.
Passano un paio di giorni e nessuno chiama.
Scrivo una mail di sollecito.
Questa volta rispondono e mi dicono ciò che non avrei voluto leggere: il servizio è sospeso.
Chiamo nuovamente e mi ribadiscono il rammarico, mi informeranno quando il servizio verrà rispristinato.
Chiamo il numero emergenza Covid e sono increduli, ma non sanno cosa dirmi.
Io sono sola e produco poca Immondizia, ma c’è caldo e penso ai tanti anziani che non avranno nessuno a cui rivolgersi, per ovviare con sistemi di fortuna, che ad un certo punto diventeranno inevitabili.
Penso che in questi termini la sicurezza è inesistente, che la sensazione di abbandono è la cosa più triste e più emotivamente frustrante che possa esserci, penso che il servizio di assistenza psicologica sia sacrosanto, ma che, come sempre, poi sono i fatti che fanno la differenza.
Questi fatti raccontano una realtà del tutto disfunzionale che ci fa sentire ancora più soli e forse il Covid ha solo reso evidente ciò che spesso subiamo in maniera del tutto inconsapevole.