A Milano, all’HangarBicocca due mostre che spaziano fra passato e futuro, Sunshine State di Steve Mc queen e Metaspore di Anicka Yi.
L’HangarBicocca è una riconversione di uno stabilimento industriale, una struttura di recupero dal respiro internazionale, uno di quei posti che ti regala sempre la sensazione di essere altrove.
Un non luogo, intriso di arte contemporanea e che ti conduce verso la scoperta di artisti noti e meno noti.
La fruizione degli eventi è gratuita, il contributo eventuale è assolutamente libero.
All’interno troviamo delle installazioni permanenti. Maestosi i palazzi si innalzano a sovrastare tutto e tutti e la percezione di essere davvero poca cosa, si fa tangibile.
Mi riferisco all’installazione permanente site-specific di Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti, il cui nome trae ispirazione dai Palazzi narrati nell’antico trattato ebraico Sefer Hechalot, il “Libro dei Palazzi/Santuari” risalente al V-VI secolo d.C., un cammino d’iniziazione spirituale verso l’Altissimo.
Nel 2015, il riallestimento a cura di Vincente Teodoli, ha arricchito l’installazione attraverso cinque grandi tele, che perseguono lo stesso obiettivo narrativo delle torri, raccontando il tentativo di ascesa al cielo che spesso l’uomo compie, attraverso opere architettoniche dal carattere imponente.
Attualmente sono presenti due mostre: Metaspore di Anicka Yi, in esposizione dal 24 Febbraio al 24 Luglio 2022 e Sunshine State di Steve Mc Queen, dal 31 Marzo al 31 Luglio.
L’artista coreana, classe 1971, vive e lavora a New York, ed è la prima volta che viene ospitata da una struttura italiana.
La sua arte vive di collaborazioni che diventano contaminazioni, con il territorio e per il territorio.
Un’arte che è vita e che si trasforma durante la stessa visita.
Il tema della trasformazione della materia, che concretamente si manifesta attraverso pannelli realizzati ad hoc che innescano veri e propri processi chimici, dà il senso del percorso creativo dell’artista, acquisendo un significato simbolico di proliferazione, una contaminazione voluta e dovuta.
Metaspore è infatti un dialogo fra più discipline, dalla filosofia alla biologia, per arrivare alla politica ed alla fantascienza; rappresenta il tentativo di scandagliare concetti come quello di ecosistema, coinvolgendo il visitatore in un processo sinestico di evoluzione.
L’interdipendenza delle parti in gioco, guarda al futuro con uno sguardo attento, dal piglio scientifico.
Si tratta di 20 installazioni che immergono il visitatore in un’esperienza di sintesi, dove i sensi vengono sollecitati e la mente catturata.
Se Skype Sweater evoca il respiro, la digestione, meccanismi propri degli esseri viventi, la recentissima Biologizing the machine,spillover zoonotica, guarda al mondo dei batteri, quadri sospesi che invitano lo spettatore a fermarsi per comprendere, o semplicemente per ammirare.
La mostra di Steve Mc Queen, esprime tutta la maestria dell’artista che in trent’anni di carriera ha saputo rendere giustizia alla dimensione filmica, spaziando con disinvoltura fra tempo e spazio.
La mostra si compone di sei filmati, fra spazio espositivo interno e facciata esterna.
La poetica di Mc Queen ha sempre guardato con amorevole riguardo alla fragilità umane ed il percorso espositivo guarda alla dimensione del corpo come espressione di un’umanità che esplora i propri confini.
Individualità e collettività sono due facce della stessa medaglia che si confrontano, facendosi l’occhiolino.
Il titolo della mostra lo dobbiamo ad un’anteprima mondiale, un filmato catartico ed ipnotico al contempo.
Due schermi ed una proiezione bilaterale, un gioco di rimandi che vede un tempo dilatarsi e restringersi, positivo e negativo, come le immagini che appaiono in sincrono sullo schermo, speculari e complementari allo stesso tempo.
Se l’opera Static del 2009, guarda con esitazione e tremolio voluto e cercato, assecondando il suono dell’elicottero da cui sono state fatte le riprese, ad un simbolo di libertà, una libertà riconquistata dopo la chiusura del famigerato 2001, Cold Breath del 1999, entra in confidenza con lo spettatore, una ricerca di intimità che passa per lo stesso corpo dell’artista, un capezzolo che rimanda ad una visione dell’occhio, lo stesso dell’opera Charlotte del 2004, dedicata all’attrice Charlotte Rampling.
La storia dell’artista, il richiamo alle origini, lo stesso che Sunshine state esprime grazie ad un racconto relativo al padre che la sua stessa voce ci regala, si evince dai due video che rappresentano Caribs Leap del 2002.
Gli eventi sono reali, ma è l’uso del tempo che diventa pregnante, il richiamo a fatti realmente accaduti si traspone in una dimensione eterna, dove ogni istante ha un peso specifico, a volte liberatorio ed a volte opprimente.
Da una parte un video che suggella un momento di liberazione, un suicidio di massa per opporsi all’occupazione francese del 1651; dall’altra il ritmo concitato di eventi che consumano un’intera giornata a Grenada.
L’ultima installazione video è Western Deep, del 2002, una discesa agli inferi che asseconda la claustrofobica sensazione dell’ineluttabile.
Protagonisti i minatori della miniera d’oro di TauTona e la terra diventa l’appiglio concreto a cui ogni spettatore vorrebbe aggrapparsi, per sentirsi nuovamente libero.
Del 2016, Moonlite, un’esegesi della forza della terra che si rinnova dopo una potenziale distruzione, due meteoriti che rimandano ad un passato catastrofico, per lasciare spazio a nuove speranze.
L’Hangar non è solo un bello spazio espositivo, l’hangar è un modo di concepire l’arte, un’esperienza sempre diversa che sa valorizzare la contemporaneità in ogni sua manifestazione