Al palazzo Bonaparte, a Roma, la mostra “Sembra vivo” dal 26 maggio al 17 settembre.

foto di Marilena Sperlinga

Al Palazzo Bonaparte, 29 opere suggestive che raccontano l’iperrealismo con audacia, un percorso immersivo con un forte impatto emotivo e cognitivo.

La scuola dell’iperrealismo, d’altronde, affronta tematiche che guardano alla vita da ogni sfaccettatura, in alcuni casi con un sguardo beffardo, in altri con una profonda introspezione che scandaglia l’animo umano ed il suo rapporto con una società sempre più competitiva e consumista, una dimensione alienante che si riferisce alla metropoli con sospetto. Il termine è stato coniato nel 1973 da Isy Brachot, quasi a sottolineare l’esasperazione del confine fra arte e realtà, l’eccesso di attenzione verso il corpo come esemplificazione di un’individualità pienamente espressa.

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Il percorso della mostra racconta tutto questo, sottolineando in alcun opere la percezione che gli esseri umani hanno di sé stessi, in altre focalizzando la propria attenzione su alcune parti; in Cattelan ad esempio a partire dagli anni ’90, questo diventa un leit motive interessante e ben rappresentato dalle opere in esposizione.

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Su alcune delle opere che il visitatore ha modo di conoscere, incombono degli interrogativi importanti, esistenzialisti; la distorsione della realtà diventa una possibile soluzione per il “chi siamo o chi saremo”. Sono prospettive futuribili che guardano con preoccupazione alla realtà digitale, senza farsi dominare da atteggiamenti fobici, ci si interroga per trovare risposte.

Evan Penny con Self Stretch, realizzazione del 2012, altera con consapevolezza gli schemi dell’iperrealismo, dando allo spettatore la possibilità di ribaltare, modificare la propria percezione, con un voluto effetto disorientante.

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La condizione umana, il tumulto interiore dato dall’incertezza, nelle fattezze dell’opera di Mueck del 2018 Dark Place acquistano una dignità ed una luce diversa, una luce che è buio perché l’anima non necessita di frastuono visivo.

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Il corpo non è solo merce, espressione di una politica che fa delle masse il fulcro di una vera e propria speculazione, ma è anche la quintessenza di un coinvolgimento emotivo che l’artista Marc Sijan, con Embrance, esprime pienamente.

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La realtà deve diventare motivo di riflessione, anche su tematiche scottanti, come quelle sempre attuali relative al genere ed in  Refrigerator di Allen Jones del 2002, la pop art si fa iperrealista e funzionale.

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La chiave di svolta può essere rappresentata dalla giocosa illusione dell’opera di Glaser e kunz, del 2009, intitolata Jonathan, in cui una proiezione video sul volto della scultura, anima il racconto di una compravendita di opere d’arte, un gioco critico sul mercato all’epoca in crisi, secondo la prospettiva immobile di una persona costretta su una sedia a rotelle.

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Lo scontro che strugge e confonde la nostra mente è con quell’ossimoro rappresentato dalla natura artificiale, quella frontiera che sembra sempre più prossima ad essere valicata, offrendoci l’occasione di riflettere sul possibile altrimenti, in ogni forma ed in ogni tempo. La realtà si fa iper anche per questo e spetta all’uomo introiettare questa mitopoiesi, per riappropriarsi di un necessario spazio di umanità. 

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