Storia Del Tagunu

di Antonio Sozzi

Il barone Guglielmo Safamita preparava lui stesso il pezzo forte della mangiata: un “taganu” che sfamava cento persone .

Era questo un piatto popolare tipico di quelle zone. Consisteva in un timballo di maccheroni, ragù e salsicce, condito con formaggio, su cui si versavano cento uova sbattute.

Era preparato in una pentola di coccio grande quanto due quartare. Si alzavano all’alba per preparare rigatoni grossi quanto un pollice, un ragù di carne fatta come si deve, salsiccia in padella, spruzzata di vino rosso.

Le più inesperte si occupavano di ingredienti che non necessitavano di cottura, abbondante quantità di formaggio pecorino, prezzemolo tritato, uova sbattute e tante fette di tuma.

Il barone con un grembiule da cuoco ungeva il fondo e le pareti della pentola con la sugna e poi iniziava a riempirla secondo l’antica tradizione. Il fondo veniva coperto di tuma e da un primo strato di rigatoni e di ragù.

Sigillava tutto con uova sbattute, prezzemolo tritato e pecorino, quindi un altro strato di rigatoni, coprendoli con salsiccia e sugo, altre uova sbattute, foderava i lati con fette di tuma e così via fino a riempire l’intero coccio. “ Chiamate gli uomini per infornarlo” ordinò.

Ora restava la parte più spettacolare. Dopo la cottura, quando era ancora tiepido, il taganu fu portato sulla terrazza da due inservienti e venne collocato su un tavolo vicino alla ringhiera, in modo che i contadini riuniti nel piazzale antistante la casa padronale potessero vedere.

Il barone spaccò la pentola di coccio, seguendo la tradizione, con un punteruolo e un martello. I pezzi di terraglia si staccarono dai lati rivelando la crosta croccante della tuma. Il pasticcio troneggiava intatto.

Dalle crepe di quell’intonaco di tuma gocciolava il sugo profumato del ripieno. La maggior parte venne distribuito ai contadini che applaudirono.” Dal romanzo “La zia marchesa” di Simonetta Agnello Hornby

Parte II

Una storiella locale narra che il principe Naselli di Comiso volendo festeggiare la Pasqua con i suoi contadini pensò di cucinare un pasto esclusivamente con i prodotti della sua terra.

Le origini di questo piatto rimangono sconosciute, si sa solo che è un piatto tipico di Aragona, pittoresco borgo della valle del Platani, vicino Agrigento.

Si racconta che questo piatto nasca ad opera di una povera contadina che per festeggiare la Pasqua con i suoi figli utilizzò tutti i resti della sua dispensa, la ricetta ebbe un tale successo che tutte le comari del paese la copiarono per il giorno successivo, Lunedì.

Un prete aragonese don Calogero Licata nella sua raccolta di poesie in siciliano ”Malarruni Giurgintanu” parla di questa tradizione che si tramanda nelle famiglie aragonesi di madre in figlia da diversi secoli.

Le tradizioni culinarie in Sicilia sono tante, alcune si perdono nella notte dei tempi. Purtroppo la cucina contadina dei nostri nonni sta scomparendo. Perché non riscopriamo le nostre antiche origini???

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