Contro ogni forma di rimozione, il giorno della memoria come viatico di conoscenza
La memoria è il tratto distintivo di un popolo, è il marchio a fuoco che definisce identità, percezioni ed emozioni.
Quando la memoria è dolente, come in questo caso, sarebbe comodo e consolatorio, operare un processo di rimozione, fare finta che nulla sia stato.
I negazionisti, che nel tempo si sono avvicendati, hanno sempre mistificato la banalità del banale, alleggerendo la coscienza di tutti. La lettera scarlatta, invece, pesa oggi, come ieri.
A maggio ero a Cracovia ed ho visitato per la prima volta auschwitz-birkenau, nel paradosso della nostra società fatta di immagini e di riproduzione di simboli senza attribuzione di significato, mi sembrava di esserci già stata, ricordavo scene di film ed orrori di mille documentari.
Si trattava di luoghi familiari. Assurdamente e tristemente familiari.
Ciò che qualcuno voleva cancellare, oggi è oggetto di una memoria condivisa, è un patrimonio che ci ricorda costantemente quanto labile possa diventare il confine fra bene e male, quanto sia facile essere demoni legittimati dal potere, alla stregua di una propaganda che parla di odio, invece che di amore.
Le macerie di auschwitz-birkenau parlano e parlano un linguaggio universale, il linguaggio degli sconfitti, di coloro che sono stati sopraffatti dalla sofferenza, nel corpo, ma non nello spirito. Perché lo spirito vive ed è eternamente presente, è un monito alla vita. Nonostante tutto.
L’olocausto deve assurgere ed assurge alla funzione di simbolo, rappresenta il confine che non deve o non dovrebbe mai più essere oltrepassato.
La storia, anche recente, ci racconta di guerre, di genocidi e di stragi. Ancora e comunque la banalità del male sopravvive.
Si tratta di eventi che affidiamo a quel comodissimo meccanismo di rimozione, che ci fa sentire sereni e brave persone, un processo che giornate come quella del 27 gennaio, invece hanno vinto.
Portare a coscienza e a conoscenza, è un passo importante. I primo verso la liberazione dal male.