CREDEVO FOSSE AMORE: UOMINI E DONNE AI TEMPI DI TEMPTATION ISLAND
Nel 1955 gli psicologi Joe Luft e Harry Ingham, proposero uno strumento conosciuto col nome “La finestra di Johari” costituita da quadranti che pongono alla nostra attenzione le parti di un profilo di personalità considerate socializzabili e quelle considerate intime e segrete.
Suddivise, cioè, in caratteristiche disposte ad essere mostrate in pubblico, quali le informazioni note al singolo individuo ed agli altri, e gli aspetti destinati ad appartenere all’assioma privato, non visibile al mondo esterno.
L’era dei social e del sensazionalismo mediatico, ha stravolto e disorganizzato questi criteri, proponendo in scena, non soltanto ogni abitudine ed ogni emozione, ma anche tutto ciò che è considerato osceno e che tale dovrebbe rimanere, ovvero, fuori dalla scena.
Così, anche l’amore e le relazioni, o meglio, ciò che di queste rimane, vengono orchestrate in tv, entrando nelle nostre case attraverso programmi che si auto-eleggono fautori di buoni propositi.
Abbiamo talmente perso il senso del pudore e dell’intimità, nella sua dimensione fisica e psichica, a tal punto da affidare ad uno show televisivo ed a qualunque vetrina mediatica, la nostra sfera privata, permettendo, dunque, di de-personalizzare e rendere pubblico, qualcosa che dovrebbe, invece, rimanere protetta all’interno di quella sfera intima che sigilla il nostro appartenere custodito dalla segretezza.
A questo si aggiunge il rischio che, il reiterare certi messaggi, possa produrre un processo di normalizzazione riguardo certi disvalori.
Così, ancora oggi, ascoltiamo dai media, che ci consegnano i fatti di cronaca attraverso una visione distorta e contorta, storie di donne che “se la sono cercata per il loro modo di vestire o di fare” e di un amore che nulla a che vedere col controllo e col possesso.
L’amore nulla ha a che vedere con una vetrina, men che meno significa distruggere e depredare l’identità dell’altro come ci racconta uno dei partecipanti del programma di Temptation Island: “L’ho fatta cancellare dai social, niente palestra e niente amiche. Se lei vuole uscire con le amiche, io magari la faccio pure uscire ma gliela distruggo la serata”.
Ma possiamo davvero assistere a tutto questo senza pensare alla necessità di stabilire un’etica del linguaggio e del pensiero?
Davvero ci siamo così allontanati dalla intimità del nostro sentire da affidarlo all’opinione mediatica?
Davvero possiamo rimanere passivi di fronte ai sentimenti mercificati in nome dell’odience?
Portare in tv relazioni non sane, confondere l’amore col controllo del prtner, rendendolo unicamente oggetto di proprietà, è il primo passo che punta ad allontanarsi dal rispetto nei confronti dell’altro.
Questo processo rende la persona con la quale interagiamo unicamente “oggetto di piacere” e non soggetto col quale confrontarsi, col quale vivere una quotidianità fatta di ascolto, riconoscendone lo spazio della sua alterità con empatia e riguardo, dentro una dimensione di scambio e reciprocità arricchente.
Non dovremmo piuttosto, noi adulti, sentirci responsabili e farci portavoce di una educazione al sentire ed ai sentimenti nei confronti delle nuove generazioni?
Vorrei poter dire che un giorno saremo ancora in grado di ritrovare quel risveglio delle emozioni e della gentilezza accogliendo le parole del poeta di Khail Gibran che quando parlava dell’amore diceva: “L’amore non possiede, né può essere posseduto.
Perché l’amore basta all’amore. E non potete pensare di comandare il cammino dell’amore: se vi trova degni, è lui a dirigere il vostro cammino”
Dott.ssa Vincenza Bifera Volontaria Centro Antiviolenza Galatea Responsabile Etica del Linguaggio