La grande tradizione siciliana: “U pupu cu l’ovu” di Antonio Sozzi

Storia e leggenda dei dolci tipici siciliani. I dolci fin dal Medioevo rappresentano una tradizione antica e originale, parte fondamentale della storia della famiglia contadina e delle monache di clausura.

Una cosa accomuna ogni abitante dell’isola: il rispetto per l’ospite da onorare al meglio.

In ogni borgo o paese i dolci vengono preparati secondo ricette antiche e nelle varie ricorrenze: le feste padronali, i battesimi, i compleanni, i matrimoni.

Ogni occasione è buona per preparare prelibati dolci e passare insieme la domenica. A partire dal XV secolo gli aristocratici per non disperdere le ingenti risorse accumulate destinarono il loro patrimonio al figlio primogenito mentre gli altri figli potevano scegliere tra la vita monastica e la carriera militare cosa che non era permessa alle figlie femmine costrette ad essere rinchiuse in clausura nei conventi, dove l’unica espressione verbale era la preghiera.

Sparire era più importante di apparire: la loro vita scorreva nel silenzio, rimanevano in ginocchio per ore, comunicavano solo con gesti e sguardi.

L’arredamento delle loro celle era spartano: un lettino, un armadio, una sedia ed il crocifisso, non possedevano uno specchio, ritenuto simbolo di vanità. Le suore di clausura si dedicavano all’arte del cucito e alla preparazione di dolci che donavano ai vescovi o ai medici.

Quando si scoprì che le barbabietole potevano essere trasformate per ottenere lo zucchero al posto del miele la Sicilia divenne la prima produttrice di zucchero. in Italia.

La preparazione dei dolci all’interno dei monasteri per le suore divenne l’unica forma di libertà, l’abate Giovanni Meli nel Settecento scrisse un libretto “Li cosi duci di li batii”.

Con il passare del tempo la produzione pasticcera nei conventi divenne un’attività commerciale venduta attraverso un’apposita ruota incastrata nel muro.

Ogni monastero aveva la propria specialità, frutto delle nostre millenarie dominazioni.

Dopo l’unità d’Italia pochi furono i monasteri che riuscirono a sopravvivere. Le ricette, alcune segrete, divennero patrimonio dei pasticceri siciliani che le esportarono in tutto il mondo.

Per descrivere tutti gli odori e sapori di una Sicilia che non c’è più sarebbe un’impresa immane, non basterebbero interi volumi.

Mi sono permesso di descrivere solo alcuni dolci, frutto delle delicate mani delle suore di clausura. “Li minni di vergini”in onore alla martire Catanese S.Agata. Questo dolce “dissoluto” prodotto nel Monastero delle Vergini era preparato per i bambini e gli ammalati, nel catanese alcune monache aggiungevano una ciliegia rossa come capezzolo.

Era il dolce preferito dal Principe di Salina in occasione del ballo in casa Ponteleone nel Gattopardo. Un altro dolce” licenzioso” era” I feddri di lu Cancellieri” prodotte nel Monastero Cancellieri fondato nel 1190 da Matteo D’Ajello, cancelliere del re normanno Guglielmo II.

“Le fedde” erano preparate in una formella a cerniera a forma di conchiglia, foderata di pasta di mandorla e riempita di crema pasticcera e marmellata di albicocca, chiudendo le due metà fuoriusciva un po’ del ripieno, dando al dolce una rassomiglianza con i genitali femminili.

“Le fedde” in dialetto siciliano oltre che fette s’intendono le natiche e in quel periodo gli scrittori siciliani si divertivano ad immaginare le monache alle prese con “le fedde” maschili. Secondo alcune fonti questi dolci sono di origini pagane.

“I Cannoli siciliani” prodotti nel Monastero di Santa Maria di Monte Oliveto si racconta che le monache vollero fare uno scherzo ad un prete facendo uscire la ricotta da un rubinetto, detto cannolo in siciliano.

Il “Cannolo Siciliano” è il re dei dolci conosciuto in tutto il mondo. “I biscotti della monaca” furono inventati dalle suore di clausura del Convento di S.Chiara a Catania prodotti seguendo una ricetta segreta da secoli.

Fra le terziarie francescane che aiutavano le suore in cucina vi era la giovane Mara Messina. In seguito all’unità d’Italia i conventi di clausura furono chiusi, la ragazza tornata a casa tramandò la ricetta dei biscotti a S a una sua nipote sposata con un produttore di dolci.

E così” i biscotti della monaca” si diffusero. “U pupu con l’ovu” Una tradizione antica che sta scomparendo e legata al periodo pasquale. In questa ricetta antichissima si dice che il “pupu” chiamato cuddura fosse simbolo di abbondanza, le famiglie dei contadini e dei pastori lo preparavano per regalarlo alle persone care.

Ogni zona della Sicilia aveva il suo pupazzo che aveva al centro un uovo sodo fissato alla pasta frolla.

L’uovo rappresenta la vita, un augurio di miglioramento e di speranza. Nella sterminata e antica produzione dell’arte culinaria siciliana ci sono i piatti dei nostri nonni ormai dimenticati, ricette dal sapore di altri tempi legati ai cicli della vita contadina.

Cerchiamo di non dimenticare mai chi siamo, chi eravamo e chi saremo.

Antonio Sozzi

NB Chi conosce altre storie, altre leggende, altre ricette sconosciute me lo faccia sapere.

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