Da Zō , lo spettacolo di e con Lelio Naccari. Un’intervista su…niente.
In una realtà ricca di suggestioni e contaminazioni, da Zō, alle Ciminiere a Catania, uno spettacolo interessante, intimo, ma non invadente.
L’autore ha voluto restituire ad un luogo che a suo dire gli è piaciuto, un messaggio ben ponderato, ma con la generosità tipica degli artisti.
Il titolo dello spettacolo è “ Tutto”, ma rispetto al fluire dei pensieri, sembra che l’intenzione dell’artista sia focalizzarsi sul hic et nunc, quando anche i pensieri lasciano spazio ad un presente che è tutto, ma che è anche niente.
La piacevole chiacchierata con l’autore, nonché attore, ci racconta che questo titolo quasi provocatorio ed i suoi discorsi su un niente così denso di significati, siano il risultato di un percorso di vita e di pensiero, l’incipit stesso del monologo.
Lelio ci dice che“Sicuramente all’inizio c’è un disagio, un’insicurezza e una voglia – direbbe qualcuno – di autodeterminarsi e scoprirsi. Ognuno lo fa coi mezzi che ha, io ho trovato il teatro, e la performance”.
Il teatro evolve e muta la propria semantica, lasciando inalterata la capacità di trasformare le emozioni in un vissuto che palpita sul palco; sempre di più abbattendo il confine fra noi e gli altri.
Coinvolgere il pubblico, portarlo ad esperire e non a subire, rappresentano una vera e propria missione.
Lelio durante lo spettacolo parla di “abbattere la quarta parete”, quella che lui definisce “ una convenzione che implicitamente dice che ciò che accade in scena è una storia a parte rispetto agli spettatori, in un tempo e in un luogo dati”.
Un moto di consapevolezza, che dichiara con lo stesso atteggiamento che ha sul palco, sta al pubblico capire che “è vero ciò in cui crediamo”.
Lo spettacolo vive di più momenti, ma ci siamo chiesti a quale esigenza rispondesse la lectio magistralis di stampo filosofico che, più o meno ironicamente, ci catapulta nel mondo delle citazioni.
Si è trattato di un indulgere alle auctoritas, per dare corpo alla performance, oppure vi erano altre e precise finalità?
Lelio è stato chiaro e ci descrive il suo percorso creativo, parlando di una forma che acquisisce senso, attraverso l’uso della fantasia, perché se si è contemporaneamente narratore/attore e pubblico “Vedi quello che è successo fino a un certo punto e intuitivamente ti appare un’altra immagine che segue il flusso precedente, cui si lega con un legame di rottura, variazione, esplicazione o semplicemente gusto e gioco.”
Come dargli torto, quando afferma che “Tutto” viaggia “su un binario sia drammatico che ludico”?
Probabilmente in questa constatazione, sta il significato stesso di tutti i rimandi di senso e di non sense che fanno l’anima dello spettacolo
Ardua impresa planare con leggerezza sulle cose, che pesano come fardelli ingombranti dentro le nostre teste, non sempre ci si riesce, ma è bene provarci e questo viaggio porta a delle riflessioni importanti sul reale, ma non solo.
Se è vero che “Noi pensiamo in base alle possibilità che il nostro linguaggio ci offre, per le cose più ineffabili e sfumate nasce la poesia“, è altrettanto vero che per andare oltre le categorizzazioni a cui inevitabilmente siamo soggetti, Le parole sono gabbie che spesso escludono possibilità.
La nostra contemporaneità fluida e camaleontica offre uno scenario incommensurabile, ma il reale è il frutto di scelte che sono individuali e circoscritte, siamo noi a limitarci e limitati.
“ La realtà che vediamo è la nostra mente. In un certo senso la realtà che vediamo è il tutto, e chi la guarda è niente”e direi che questa sintesi possa essere uno spunto per molti altri viaggi mentali ed introspettivi.
Un artista è un uomo ed ogni uomo ha bisogno di stimoli, per alcuni è solo “più impellente”, ma la ricerca di un senso, spesso tanto offuscata da un agire così caotico, è probabilmente,come dice Lelio, più necessità di verità e libertà.
Un’ inquietudine di fondo ed ogni spettacolo, forse, gli toglie la poca tranquillità d’animo che comunque avrebbe, perché il desiderio è, come per tutti, quello di agire e fare bene.
Sul futuro non si esprime, d’altronde quell’hic et nunc dell’incipit, lo insegue per lasciarlo dov’è…come lui stesso dice “piuttosto che spostarmi eternamente, vorrei imparare a vedere con gli occhi giusti il posto in cui mi trovo adesso, e muovermi per gioco, danzando”.
Oggi paure e retrogusti amari di varia natura, ci spingono a progettare, come criceti su una ruota che gira ininterrottamente e se, invece, fossimo capaci o semplicemente provassimo a fare “niente”?
Marilena Sperlinga