Fascismo e mafia : due facce della stessa medaglia.
Editoriale di Valeria Barbagallo
All’improvviso mi trovo davanti una pagina del giornale “Il Popolo d’Italia”, incorniciato e appeso nello studio di un avvocato, con il titolone in prima pagina “Badoglio è nominato Capo del Governo” e nel catenaccio c’è scritto
“Un proclama agli Italiani del Re Imperatore che ha assunto il comando di tutte le Forze Armate: L’Italia troverà la via della riscossa”.
È certamente suggestivo leggere queste notizie soprattutto se le collochiamo nel periodo storico di grande rigore ideologico morale e dittatoriale.
Il fascismo è un fenomeno politico e militare che da un lato spaventa per via delle vittime innocenti che ha seminato, per l’odio sociale e per la paralisi mentale, dall’altro ha affascinato e strumentalizzato le coscienze sociali mediante il mezzo più invasivo e più letale delle armi: Il potere della comunicazione e dell’informazione.
Tenere a bada il pensiero, facendo trapelare solo ciò che conveniva per addomesticare la razionalità soggettiva e collettiva.
Mussolini lo sapeva. È stato un giornalista e aveva capito la forza di questo potere. Per questo decise di fondare l’unico giornale nazionale intitolandolo alle sue “vittime”: Il Popolo d’Italia.
Non è finita bene per quei pochi filosofi e letterati che hanno provato a prendere le distanze da quella dittatura anomala, che da un lato offriva sicurezza e lavoro, ordine e senso di appartenenza, compreso il credo religioso, e dall’altro privava della libertà di pensiero e parola.
L’unico strumento per attuare una così vasta organizzazione dittatoriale è stata la comunicazione. Dai discorsi dal balcone di Piazza Venezia a Roma, alla fondazione del Giornale Il Popolo d’Italia, l’attività strategica del Duce è stata “convincere”, “persuadere”, rafforzandola col deterrente della paura e punizione.
La cosa che fa riflettere è quando leggiamo: il fascismo riuscì a “sconfiggere” Cosa Nostra in Sicilia. Mussolini inviò a Trapani il prefetto Cesare Mori e gli raccomandò:
“Spero che sarete duro con i mafiosi come lo siete stato con i miei squadristi”.
La sua durezza e inflessibilità era ciò che serviva per contrastare il fenomeno mafioso. Mussolini inoltre inviò alla Corte d’appello di Palermo il magistrato Luigi Giampietro, famoso per le sue condanne esemplari.
La lotta alla mafia però ebbe dei risvolti speculari ai metodi mafiosi. Si arrivò ad usare sistemi anche non legali come la tortura, il ricatto, il sequestro di persone civili colpendo anche donne e bambini.
Una repressione al limite dell’umanità colpendo i mafiosi sul loro senso dell’onore e della famiglia. “La mafia è stata sconfitta” veniva propagandato, e come al solito il metodo della comunicazione vincente faceva leva, peccato che prima di affermarlo si è dovuto arrivare ai colletti bianchi, vicini al Duce: Antonio Di Giorgio , generale del corpo d’armata ed ex ministro , e Alfredo Cucco membro del Gran Consiglio del Fascismo.
In verità alcune scuole di pensiero sostengono che Mussolini dovette congedare Mori dal suo incarico collocandolo “a riposo”, proprio perché Il prefetto di ferro non si fermò dinanzi a nessuna etichetta politica.
E quando iniziò a scovare mafiosi tra i membri del PNF, magicamente era arrivato per lui il momento di ritirarsi. Beh , forse la mafia non è stata mai sconfitta.
Forse occorreva farlo credere. La linea di confine è che non si è capito se la mafia aveva mutuato dal fascismo il metodo della paura, della repressione e del controllo sociale o forse il contrario.
O forse la lotta a “vinca il migliore” si è conclusa con un accordo tacito… silenzioso.
Tanti gli spunti di riflessione e i gap da colmare. O semplicemente sono due facce della stessa medaglia.