Giorno 30 settembre chiude il cinema Alfieri, fra tradizione e ricordi, un pezzo di storia della nostra città.

Succede in tutte le città ed in questo periodo succede spesso, attività di vario tipo chiudono le saracinesche, portandosi uno scrigno ricolmo di storie e di ricordi, fino all’oblio che inevitabilmente, prima o poi sopraggiunge.

Leggo su un social che, giorno 30 settembre, chiude un cinema a Catania, il cinema Alfieri, un pezzo di storia della nostra città e quello scrigno di ricordi si apre e mi riporta indietro nel tempo; quel cinema era il cinema che frequentavo spesso quando ero ragazza, mi ricorda i miei nonni e mi ricorda una Catania che è sopita sotto una coltre di spazzatura e di brutture di vario genere.

Leggo che chiuderà fino a data da destinarsi, la speranza è flebile, ma non vuole spegnersi.

Non è facile decontestualizzare questo evento, ma forse è il caso di fare una riflessione sull’ennesima conseguenza da Covid non prevista, connessa ad un’emergenza che è stata affrontata alla meno peggio e che della cultura e della socialità si è quasi forzatamente dimenticata.

Avanza il nuovo, avanzano le piattaforme prêt a porter e cambiano le abitudini, ma questo settore non è stato in nessun modo tutelato e le conseguenze erano invitabili.

La cultura in tutte le forme è linfa vitale per una città e se chiudono i cinema, se quella flebile opposizione alla fruizione commerciale e di massa, si fa sempre più fioca, la triste immagine di un abbrutimento generalizzato, atterrisce e lascia sgomenti.

Resistono le multisale più blasonate, resiste un modo diverso di concepire il cinema, un cinema che ci vede più isolati e casalinghi.

Probabilmente questo era un processo che comunque si sarebbe realizzato nel tempo, ma che la pandemia non ha solo accelerato, la pandemia ha reso possibile, se non inevitabile, grazie ad una inesistente attenzione da parte della nostra classe politica.

Ogni città rappresenta un racconto in divenire, dove palazzi, attività culturali, esercizi commerciali, tessono la trama su cui si articoleranno le storie personali di ogni cittadino; quello che osserviamo è un appiattimento dei contenuti di questa trama, un’omologazione fatta di tante risposte mancate ed è questo che quella saracinesca abbassata ci ricorda, forse occorrerebbe semplicemente prestare attenzione a questo sommesso richiamo e ravvivare di fatti quella speranza che ancora non vuol morire.

Ad un evento catastrofico, probabilmente andrebbero date risposte rivoluzionarie, ma ciò che è veramente essenziale è che non si abbandoni mai l’idea di una città che sia in grado di raccontare la propria storia, che sappia proporre nuove specificità, facendosene un vanto.

L’augurio che ci facciamo è che quella saracinesca si riapra e che la diversità di una proposta culturale differente si sappia imporre, nonostante tutto.

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