Il punto sul dopo Covid-19
di Giuseppe Rochira – Avvocato e Dottore Commercialista
Il 26 marzo mettevo nero su bianco alcuni pensieri sul dopo emergenza Covid-19.
Dicevo che da più di un mese (da quando a fine gennaio era stata dichiarata l’emergenza), chi come me operava in ambito economico ed era a contatto con imprese, stava già riflettendo sul da farsi dopo il superamento della pandemia, anche se, francamente nessuno immaginava, il disastro sotto ogni punto di vista: sanitario, mediatico, economico che i nostri occhi continuano a vedere. Disastro che probabilmente no finirà facilmente.
Al mio primo intervento ne sono seguiti altri che riproporrò ancora in seguito per evidenziare quanto siano stati catastrofici tutti coloro che hanno gestito malissimo questa crisi sanitaria, economica e umanitaria, affinché chiunque avrà modo di leggermi abbia ben presente cosa era prevedibile ed è successo e abbia ancora la possibilità di tracciare un proprio sentiero di uscita dalla nuova crisi globale che si è aggiunta a quella precedente.
Purtroppo ancora per molto tempo qualcuno continuerà a riflettere sul futuro che ci attende, altri saranno costretti ad agire d’impulso, navigando a vista, proprio come hanno fatto e stanno facendo i nostri Governanti.
Se ancora non siamo stati in grado di fare il punto sul futuro che ci attende, magari basandoci sulla nostra esperienza o facendoci consigliare, non dobbiamo perdere altro tempo.
Tanto per iniziare, giusto perché si abbia in concreto la situazione italiana, credo che vadano fatte alcune precisazioni che ho già evidenziato qualche mese fa e cioè che, sia per il 2020 che per gli anni a venire, le entrate dello Stato saranno sempre minori proprio perché moltissime imprese chiuderanno e quelle che resteranno non avranno vita facile e, dunque, non saranno in grado di produrre utili da tassare.
Tutto questo e fronte di una spesa pubblica annuale che si aggira intorno ai 1000 miliardi di euro e che nessuno ci ha ancora detto come intende affrontarla in futuro.
Anche se ci sono state molte aperture delle attività ed altre apriranno da questo mese ma con una capacità produttiva inferiore al 50% di quella normale (almeno fino a tutta l’estate), dato che ufficialmente saremo in emergenza nazionale fino ad agosto, è evidente come le entrate pubbliche non possano che diminuire vertiginosamente, di guisa che l’ulteriore debito che lo Stato sarà costretto ad assumere per far fronte alle emergenze anche di natura economica, andrà ad aggiungersi a quello attuale già non più sostenibile, per giunta aumentato a causa delle minori entrate.
È più che ragionevole, infatti, immaginare che la maggior parte delle attività produttive e commerciali – a ben volere – riprenderanno a pieno regime dopo l’estate, salvo nuove emergenze.
Ma anche laddove l’attività produttiva riprendesse a pieno regime già dal mese di luglio non potrebbe parlarsi di una piena produzione, visti la paura, l’incertezza e il lassismo che si sono accumulati e che continueranno ad accumularsi. La conseguenza logica, sarà dunque quella che i primi sei mesi di quest’anno influiranno più che sensibilmente sui bilanci di tutte le imprese, a prescindere dalla natura o dalle dimensioni (pubbliche, private, micro, piccole, medie o grandi).
Sicché, dando per buono che dei restanti sei mesi del 2020 almeno quattro possano essere normali e fruttiferi, quasi tutte le imprese italiane, professionisti compresi, pagheranno imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP) per un ammontare pari, o appena superiore, allo zero. A seguire, come è ovvio, diminuiranno i consumi e – come già stanno diminuendo – anche le entrate derivanti dalle imposte indirette (IVA, REGISTRO, BOLLO etc.).
La diretta conseguenza di questa crisi, comporterà che il solito flusso di miliardi in entrata che serve allo Stato ogni anno per l’ordinario sostentamento, per il 2020 e per gli anni a venire resterà una mera chimera. Ogni previsione più ottimistica sarebbe a mio avviso un azzardo, posto che le uniche imprese che avranno la possibilità di pagare le imposte saranno – forse – quelle che producono e scambiano beni di consumo essenziali, o comunque indispensabili, e probabilmente anche quelle direttamente e indirettamente collegate a tale filiera.
Alla luce di queste considerazioni, in uno stato emergenziale come quello che abbiamo subito e che continuiamo a subire e che molti hanno paragonato ad uno stato di guerra, è piuttosto probabile che il debito pubblico alla fine del 2020 arriverà a tremila miliardi, Europa permettendo.
A causa delle minori entrate e delle spese straordinarie che lo Stato sarà costretto a sopportare – ammesso che sia in grado di garantirle -, come vado dicendo ormai da prima della crisi, è più che probabile che prima della prossima legge finanziaria lo Stato metterà mano al nostro portafogli con una imposta patrimoniale, che denominerà “a lacrime e sangue”, ma che nessuno di noi vorrebbe far gestire a gente incompetente come quella che ci sta governando.
Purtroppo, sono passati più di due mesi e quello che avevo previsto si è verificato puntualmente come avrò modo di scrivere in seguito rievocando qualche mio precedente scritto, anticipatorio di almeno due mesi.
A questo punto, sembra inutile attendere aiuti di Stato per ripartire, giacché – se arriveranno – prima o poi saremo noi stessi a pagare.
L’unica richiesta che va pretesa da questo Stato è che restituisca senza limiti la libertà che ingiustamente ha in costituzionalmente soppresso. Dopo di che, rimbocchiamoci le maniche e decidiamo come affrontare il nostro futuro, da soli, come abbiamo sempre fatto.