Le paure che diventano abitudini di vita: la “sindrome della capanna” ed i risvolti psicologici del Covid19

Pur nella consapevolezza che il Covid non è stato debellato o sconfitto e che è necessario tenere alta la guardia, per molti di noi la sensazione di essere tornati liberi ha il sopravvento su paure e lotte, più o meno manifeste, contro il nemico insidioso. 

A ricordarci che lui c’è, ci sono le mascherine, che con il caldo asfissiante dell’estate diventano una compagnia fastidiosa e soprattutto uno schermo che ci rammenta che l’altro è pur sempre altro da noi e che bisogna stare attenti. 

Se questa è più o meno la situazione che investe l’emotività di noi tutti, esistono delle eccezioni. 

Sul piano psicologico il Covid 19 ha comportato delle conseguenze che hanno risvolti molto più drammatici. 

La clausura forzata ed il senso di precarietà connesso ad un esterno sempre più infido, ha sviluppato in alcuni soggetti, specialmente se più fragili, diverse problematiche di ordine psicologico. 

Fra tutte queste conseguenze, la cosiddetta sindrome della capanna sembra la più esasperata, ma anche la più vicina a descrivere la normale anormalità a cui per mesi siamo stati sottoposti. 

La Sindrome della Capanna, cabin fever in inglese, sembra che risalga al 1900, epoca della febbre dell’oro negli Stati Uniti. 

I cercatori d’oro, erano costretti a lunghi periodi di isolamento, a seguito dei quali sviluppavano grosse ansie ed insicurezze. 

Tale sindrome non può essere definita come un vero e proprio disturbo mentale, ma è intrinsecamente connessa ad un lungo periodo di isolamento, o prigionia forzata. 

Affinché possa essere riconosciuta come disturbo di natura psicologica o psichiatrica, occorrerebbe una casistica ed una letteratura che al momento manca, ma quello che si rileva è una forte ansia, una paura, un senso di affaticamento, demotivazione e scarsa concentrazione, tutte variabili connesse con un esterno che viene vissuto come pericoloso. 

La casa, o capanna o prigione, diviene l’unica possibilità di salvarsi e vista la presenza effettiva di un virus ancora vivo, tale sintomatologia in alcuni soggetti assume connotati esasperati. 

Con il tempo, prendendoci cura di noi, riappropriandoci di una dimensione costruttiva del nostro vivere sociale, elaborando quanto vissuto o patito e cercando anche di trarne degli insegnamenti costruttivi, anche questa che sembra un’ulteriore gabbia in cui abbiamo rinchiuso la nostra anima, diventerà un ricordo, un’esperienza che ci ha cambiato o che, forse e magari è anche più auspicabile, ci ha aiutato a guardare il mondo da un’altra prospettiva.

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