Pistacchio di Bronte
di Marco Amadei
Oggi Parliamo del Pistacchio, Frutto usato come fosse una spezia, per varietà in cucina ed utilizzo.
Il pistacchio (dal greco Pistàkion) è una pianta originaria del bacino Mediterraneo (Persia, Turchia), coltivata per i semi, utilizzati per il consumo diretto, in pasticceria e per aromatizzare gli insaccati di carne.
Non è esagerato dire che è una pianta vecchia tanto quanto il mondo.
Era noto e coltivato, infatti, dagli antichi ebrei e già allora ritenuto un frutto prezioso.
Per curiosità cronologica riscontriamo per la prima volta la parola “pistacchio”
nell’Antico Testamento, successivamente nella Genesi, (origine-nascita del mondo) capitoli 42/43 versetto 11.
Qui a proposito dell’episodio ben noto di Giacobbe, il quale manda i propri figli dalla terra di Canan in Egitto per fare incetta di grano, troviamo la frase di seguito riportata:
“Ecco ho sentito dire che vi è il grano in Egitto.
Andate laggiù e comprate per noi …
Portate in dono a quell’uomo i prodotti scelti del paese:
Balsamo, miele, resine, laudano, mandorle e pistacchi”.
Assieme ad altre piante allora molto apprezzate, il pistacchio è riportato nell’obelisco, monumento celebrativo, fatto innalzare da Assurbanipal I° (re dell’Assiria, attorno al 668-626 a.C.), nella città di Kolach.
Ma era già noto alle popolazioni orientali: Babilonesi, Assiri, Giordani, Greci sin dal III secolo a. C. come pianta dai principi curativi, potente afrodisiaco e come antidoto contro i morsi degli animali velenosi, chiamato secondo alcuni “fostak” o “fostok” e derivante secondo altri dal persiano “fistij”.
Plinio il Vecchio, autore dell’Historia Naturalis, cap. X-XIII, datato attorno al 77 d.C., morto nel 79° seguito della famosa eruzione che distrusse la città di Pompei, Ercolano e Stabia, ci parla di Lucio Vitellio (Pretore o Governatore romano in Siria) il quale attorno al 20-30 dopo Cristo introdusse in Spagna e Italia, a seguito le conquiste romane, la pianta.
Sempre in quel periodo le coltivazioni si diffusero in Liguria, Puglia, Campania e Sicilia.
Nelle regioni italiche, non trovando la pianta condizioni climatiche favorevoli, ben presto inselvatichì passando da fruttifera a legna usata per usi domestici.
Ancora i Romani chiamarono “frastuchera locus” lo spazio, il luogo o posto dove si produceva il pistacchio.
A questo punto bisognerà fare un salto di circa otto secoli ed arrivare, attorno al 900 dopo Cristo, alla presenza araba nell’isola.
Questi, gli Arabi, erano sbarcati in Sicilia e più precisamente a Marsala (letteralmente porto d’Alì) nell’827 e divenuti padroni dell’intera isola attorno al 902, in quegli anni ne iniziarono la coltivazione “inestando li salvatichi cò la coltivazione diventano domestichi”, per via di marze.
Di questi ultimi, ancor oggi, nella parlata dialettale conserviamo i termini “frastuca e frastucara” che stanno ad indicare rispettivamente il frutto e la pianta. Termini corrotti derivanti dall’arabo “fristach” e “frastuch”.
Naturalmente trattasi di traslitterazione dal momento che il suono della “p” mancando in lingua araba viene reso con la “f” o la “b”.
Nel dialetto brontese dei nostri nonni il termine “frastucata” indicava un dolce a base di pistacchio e “frastuchino” il colore verde pistacchio.
Furono gli Arabi, dunque, strappando la Sicilia ai Bizantini, ad incrementare ed a indirizzarsi nella coltivazione del pistacchio che nell’Isola, particolarmente alle pendici dell’Etna, trovò l’habitat naturale per uno sviluppo rigoglioso e peculiare.
Nelle sciare del territorio di Bronte si realizzò uno straordinario connubio tra la pianta ed il terreno lavico che, concimato continuamente dalle ceneri vulcaniche, favorì la produzione di un frutto che dal punto di vista del gusto e dell’aroma, supera come qualità la restante produzione mondiale.
Qui, in un terreno sciaroso e impervio (i “lochi”, così sono chiamati ancora i pistacchieti), il contadino brontese ha bonificato e trasformato le colate laviche dell’Etna in un insolito Eden, realizzando il prodigio di una pianta nata dalla roccia per produrre piccoli, saporiti frutti della più pregiata qualità, di un bel colore verde smeraldo, ricercati ed usati in pasticceria e gastronomia per le loro elevate proprietà organolettiche.
Oggi, del vasto territorio brontese (25.000 ettari), sono coltivati a pistacchieti quasi 4.000 ettari di terreno lavico, con limitatissimo strato arabile e con pendenze scoscese ed accidentate, poco sfruttabile per altre colture specializzate.
Nel 2009, il pistacchio di Bronte ha ottenuto la Denominazione di origine protetta DOP.
Curiosità
Avicenna, filosofo-medico d’origine iraniana, considerato l’Ippocrate e l’Aristotile dell’oriente
mussulmano, nel libro a titolo “Il canone della medicina” stampato per la prima volta a Roma
nel 1593, ma già ben noto nel medioevo, prescriveva il pistacchio contro le malattie del fegato
e lo definiva afrodisiaco.
Castor Durante da Gualdo (1509-1590), celebre botanico e medico, autore di vari trattati tra i
quali “Il tesoro della sanità” edito a Roma nel 1586, parlando dei pistacchi ci dice che
“purgano il petto e le reni, sono utili allo stomaco, ecc,”.
Per quanto riguarda le monache di clausura del convento dello Spirito Santo di Agrigento, anche loro
non sempre dalle famiglie costrette a vivere segregate dal mondo, nel chiuso appunto
dei conventi, pensiamo ad un loro stile di vita molto più ascetico anche se con qualche eccezione alla regola.
Vedi, ad esempio, “Storia di una capinera” di G. Verga.
Le monache brontesi di Santa Scolastica alternavano l’”ora et labora” con la preparazione
di prelibati dolcetti a base di pistacchio, prodotto, allora, da noi poco usato. A titolo d’esempio:
“i panitti”, “i cuori” e sicuramente le ben note “fillette”.
Il monastero venne soppresso dopo l’Unità d’Italia con due leggi nel 1886 e 1867.
A proposito di Unità, storicamente parlando, nel 1860, durante la famosa “passeggiata garibaldina” in
Sicilia, per stuzzicare il palato del Nostro, impegnato nell’epica impresa, si pensò di dedicargli
un elaborato piatto di carne con ripieno di pistacchio dal nome celebrativo: Rotolo alla Garibaldina.
In poche parole abbiamo scoperto molto sul nostro frutto preferito estivo, Il Pistacchio.