Responsabilità sanitaria delle strutture sanitarie e dei medici

STUDIO LEGALE CANNATELLA

avv. Maria Giovanna Cannatella Patrocinante in Cassazione

OGGETTO: La Consulenza Tecnica Preventiva al giudizio ex art. 696 bis c.p.c. Esclusione della chiamata in giudizio del medico ad istanza della struttura sanitaria.

PREFAZIONE

       Nel settore della responsabilità medica si sono registrati, nel corso del tempo, numerosi orientamenti giurisprudenziali e diversi interventi legislativi nel tentativo di regolamentare un settore che, per le proprie specificità (sotto il profilo della natura del danno, del contenuto della prestazione, delle valutazioni prognostiche, del profilo dell’accertamento dell’elemento psicologico della colpa, della varietà delle fattispecie) si presenta estremamente problematico.

     Premessi brevi cenni di carattere generale sulla recente evoluzione giurisprudenziale in materia, si vuole soffermare l’interesse del presente lavoro sulla introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal legislatore, in particolare sotto il profilo degli effetti processuali e dei rapporti tra le parti convenute.

BREVE EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE

     Con la legge di conversione del c.d. “decreto sanità” (D.L. 13 settembre 2012, n. 158, conv., con modif., in L. 8 novembre 2012, n. 189), il legislatore ha introdotto l’art. 3 il quale, al comma 1, cosi recita: “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. In tali casi, “resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

    Si tratta di norma che interviene direttamente sul tema controverso dell’accertamento della colpa, nel tentativo di contenere il contenzioso giudiziario. Tale disciplina era ispirata dalla necessità di affrontare e superare i rischi della c.d. medicina difensiva, considerato che, prima di allora, la responsabilità sanitaria (delle strutture sanitarie e dei medici) era affidata alle regole di diritto comune ed all’opera creatrice di dottrina e giurisprudenza.

    A breve distanza dalla riforma Balduzzi è intervenuta la c.d. Riforma Gelli, legge 8/03/2017 n. 24, recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie e che ha sancito, sul piano del diritto positivo, l’approdo alla responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie[1].

     Principio ispiratore della Riforma è che la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività.

     Inoltre, a tutela del perseguimento dell’obiettivo della sicurezza delle cure, viene predisposto un insieme di attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato di risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. La Riforma, infatti, prevede interventi di monitoraggio sui rischi, l’istituzione del Garante per il diritto alla salute, obblighi per le strutture sanitarie pubbliche e private di trasparenza dei dati, l’obbligo per gli operatori di attenersi a specifiche linee guida, adempimenti stringenti a carico di strutture e esercenti la professione, tra cui il cui più rilevante è l’obbligo di assicurazione.

     In particolare, la legge Gelli-Bianco ha scoraggiato l’azione civile contro il singolo operatore del servizio sanitario. La responsabilità del medico assume natura extracontrattuale, perciò il paziente è incentivato a chiamare in causa soltanto la struttura sanitaria, contro la quale potrà giovarsi di una presunzione di colpa, oltre che di un termine più lungo di prescrizione.

     Dal canto suo, la struttura che abbia pagato un risarcimento potrà rivalersi sul medico responsabile (e farsi rimborsare di quanto versato al paziente) nel rispetto delle prescrizioni riportate nel testo normativo, sebbene la azione di regresso sia espressamente regolamentata e limitata. In particolare, per l’esercizio della azione di rivalsa nei confronti del sanitario che non è parte del giudizio sono previste alcune imcombenze (talune a pena di decadenza), quali: onere di avviso al sanitario entro 45 giorni dall’avvio del contenzioso col paziente, promozione di recupero dell’azione entro un anno dall’avvenuto pagamento. Inoltre sono previsti limiti all’azione considerato che il sanitario è tenuto a risarcire solo in caso di dolo o colpa grave (non colpa lieve) ed in ogni caso il tetto massimo della rivalsa non può superare il triplo della retribuzione annua e la quota della metà del risarcimento versato.

     La ulteriore innovazione di rilievo è costituita dalla individuazione di uno specifico iter procedimentale: la norma di riferimento è l’art. 696 bis del codice di procedura civile.

     Invero, considerato che le cause in materia di responsabilità sanitaria dipendono dalla valutazione tecnica di condotte mediche, prima di procedere giudiziariamente è onere del danneggaito richiedere la nomina un consulente tecnico (medico-legale ed uno o più specialisti nella disciplina in discussione) per l’esperimento di una consulenza tecnica preventiva, anche ai fini della composizione della lite.

I PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA

     La riforma di cui alla L. 14.5.2005 n. 80 non solo modificava l‘art. 696 c.p.c. ma introduceva il nuovo istituto di cui all’art. 696 bis c.p.c., disciplinando la “Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”[2].

     La consulenza prevista dall’art.696 bis c.p.c., definita comunemente come ”A.T.P. a fini conciliativi”, consente a ciascuna delle parti coinvolte in un contenzioso incentrato sull’accertamento ovvero sulla deteminazione di crediti che traggano fonte da una fattispecie di rsponsabilità civile, contrattuale o aquiliana, di dare impulso ad un particolare procedimento finalizzato a sollecitare una soluzione bonaria della lite.

     È importante sottolineare il ruolo del CTU nominato.

       Invero, nel procedimento di interesse, diversamente dal consulente nominato nel procedimento ordinario o nella ATP urgente, il Consulente è chiamato ad esprimere il proprio orientamento sulle questioni tecniche legate alla definizione della controversia; pertanto, l’esito della consulenza fornirà alle parti un metro di prognosi circa il possibile esito del giudizio stesso che consente di raccogliere il consenso conciliativo anche della parte che in principio fosse stata meno incline a prestarlo.

     Lo scopo del legislatore è stato, quindi, di introdurre uno strumento deflattivo nella consapevolezza che molteplici tipologie di cause (tecnicamente complesse, come quelle nel settore medico o negli appalti) possano essere in gran parte condizionate dall’esperimento di una consulenza che è in grado di favorire la conciliazione delle parti[3] o comunque di orientarne le iniziative processuali.

L’esperimento del tentativo di conciliazione nella Legge Gelli 

     L’art. 8 della Legge Gelli prevede che: «Chi intende esercitare un’azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell’articolo 696 bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente”.

     Si tratta, tecnicamente, di “condizione di procedibilità” dell’azione risarcitoria (in alternativa, si può soddisfare la condizione di procedibilità anche promuovendo un procedimento di mediazione).

     Le controversie soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 8 sono tutte le azioni di risarcimento, di condanna o anche solo di accertamento previste dalla L. n. 24/17; in particolare, sono ricomprese le azioni di condanna al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria (sia in presenza di comportamento dolo che colposo dell’operatore) e le azioni per violazione da parte della struttura sanitaria del contratto di spedalità, dirette nei confronti del danneggiante, della struttura sanitaria o dell’assicurazione.

     Inoltre, non è sufficiente la mera presentazione (deposito) del ricorso, in quanto, per consolidare gli effetti in rito, è necessario che il procedimento venga esperito o comunque regolarmente instaurato.

     La norma prevede che il ricorso deve essere depositato presso il “giudice competente” senza però precisare quale sia il criterio determinativo della competenza. In questo caso si deve applicare lo stesso criterio di cui all’art. 693, primo comma, c.p.c. e, pertanto, il giudice non potrà essere che quello competente per il merito, che verrà individuato secondo gli ordinari criteri di valore e territorio e che, per le cause di competenza del Tribunale deve essere trattato, ex art. 696, ultimo comma, c.p.c. dal Presidente del Tribunale, salva la possibilità di delega da parte di questi.

I soggetti del procedimento.

     Il ricorrente ha certamente azione diretta sia nei confronti della struttura che del sanitario ritenuto responsabile.

     Inoltre, tenuto conto della possibile diversa natura della responsabilità (contrattuale o aquiliana), il ricorrente non è onerato di citare il medico della struttura, contro il quale il paziente potrebbe non avere interesse ad agire nel successivo giudizio di merito o che potrebbe essere non facile da individuare in caso di più soggetti potenzialmente responsabili. Sul punto, la giurisprudenza ha comunque confermato la indispensabilità della partecipazione al procedimento di accertamento tecnico preventivo ex art. 8 di tutti coloro la cui condotta sia ritenuta dal danneggiato in qualche modo eziologicamente connessa con il danno subito[4].

     Inoltre, l’art. 12, comma 4, Legge 24/2017, prevede, nel caso di azione formulata contro le Compagnie di assicurazione, un litisconsorzio necessario nel giudizio di merito nei confronti della struttura e del libero professionista. Tuttavia, in attesa dei decreti di attuazione, tale norma è controversa e di difficile applicazione.

     Allo stato sembra prevalente l’orientamento per il quale il ricorrente non dispone di azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione del sanitario e/o della struttura[5] (per giurisprudenza conforme il danneggiatoha azione in A.T.P. solo nei confronti della struttura sanitaria o del professionista[6]), anche se si registrano pronunce di segno opposto[7].

     Parte della dottrina evidenzia che al tentativo di conciliazione devono necessariamente partecipare tutte le parti, incluse le imprese di assicurazione, sulle quali incombe anche l’obbligo di formulare una “offerta di risarcimento del danno” o di comunicare i motivi per cui non intendono farlo. In concreto l’individuazione delle parti chiamate dipenderà dal tipo di azione che il danneggiato intenda esperire, e potranno quindi essere la struttura sanitaria (la cui responsabilità è contrattuale); o l’esercente la professione medica (che potrà rispondere contrattualmente o extracontrattualmente); o entrambi; oppure anche la compagnia assicuratrice dell’una o dell’altro, in grazia della nuova azione “diretta”; non invece il caso inverso, di partecipazione della sola compagnia assicuratrice, senza il suo danneggiante-assicurato, che in ipotesi di azione “diretta” sarà litisconsorte necessario[8].

In merito alla ammissibilità della chiamata in causa del sanitario da parte della struttura

     Dottrina e giurisprudenza ritengono ammissibile la chiamata di terzo nell’ambito di un procedimento di istruzione preventiva. La regola processuale generale non soffre eccezioni neppure nel caso di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ex art. 696 bis c.p.c.

     Il momento entro il quale la parte può chiedere di estendere il contraddittorio in un procedimento di istruzione preventiva, pur se non espressamente previsto, deve necessariamente individuarsi nella udienza fissata dal Giudice ai sensi dell’art. 694 c.p.c. e comunque prima che sia stata emessa la ordinanza di cui all’art. 695 c.p.c., norme entrambe applicabili all’accertamento tecnico preventivo in quanto richiamate dall’art. 696 c.p.c. Peraltro, l’esigenza di fare coincidere con la prima udienza il momento ultimo in cui le parti possono chiedere di chiamare un terzo (anche quando questa necessità è consequenziale alle avversarie difese) si impone per salvaguardare il principio del contraddittorio ma anche per esigenze di economia processuale e per garantire la celerità e speditezza di un procedimento che deve concludersi entro il termine “perentorio” di sei mesi dal deposito del ricorso[9].

     Più incerta la risposta se la necessità di chiamare un terzo nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. nasce dalle difese svolte dalla struttura sanitaria che deduca la responsabilità di altro presidio ospedaliero.

     Problematica, infine, la possibilità che la struttura resistente possa richiedere la chiamata del terzo in causa del proprio ausiliario.

     Ed invero, da un lato, il danneggiato può azionare le sue pretese risarcitorie non solo nei confronti del debitore (ex art. 1228), ma anche degli “esecutori” della condotta dannosa ex art. 2043 c.c.

     Dall’altro, la struttura chiamata in causa potrebbe avere interesse a rilevare la responsabilità del proprio ausiliario nella verificazione dell’evento ed a vedere riconosciuta nei confronti del medesimo la responsabilità per il danno arrecato, sussistendo una solidarietà risarcitoria diretta del debitore per i fatti dolosi o colposi degli ausiliari (inquadrati nell’organizzazione delle risorse del debitore).

     Peraltro, non di rado, le condotte degli ausiliari possono generare un autonomo obbligo risarcitorio verso il paziente. La condotta dell’ausiliario delegato, oltre a causare l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione, può integrare un fatto illecito generatore di responsabilità aquiliana; in questi casi, la mancata guarigione del paziente o l’aggravamento delle sue condizioni di salute potrebbero integrare inadempimento dell’obbligazione della struttura sanitaria derivante dal contratto atipico di spedalità ed un illecito extracontrattuale del medico. 

     Inoltre, in presenza di una obbligazione solidale, la struttura ha titolo per esercitare una azione di regresso nei confronti dell’operatore sanitario. E L’azione di regresso è finalizzata a compensare, nei rapporti interni tra coobbligati, il sacrificio del debitore solidale che abbia adempiuto alla propria obbligazione[10].

     Orbene, sulla scorta di tali premesse, è evidente che un’azione di regresso facilitata sotto il profilo processuale avrebbe vanificato la scelta del doppio binario, facendo sistematicamente ricadere l’obbligazione risarcitoria sull’operatore sanitario (ragione che spiega la prudenza mostrata dal legislatore nella selezione dei presupposti e delle condizioni dell’azione di regresso della struttura sanitaria). Per questo motivo, la Riforma detta regole innovative in merito all’azione di regresso e alla responsabilità amministrativa delle strutture sanitarie private e pubbliche, ritenendo evidentemente opportuno rimodulare in senso limitativo la responsabilità del medico.

     Ed infatti, ai sensi dell’art. 9L. n. 24/2017, l’azione amministrativa (in caso di struttura pubblica) dovrà essere esercitata dal Pubblico Ministero davanti alla Corte dei Conti, mentre l’azione di rivalsa potrà essere promossa dalla struttura privata che abbia risarcito il paziente danneggiato, innanzi al giudice ordinario.

     L’art. 9 assegna, peraltro, portata generale al c.d. regime preferenziale: la limitazione del regresso ai soli casi di fatti dolosi o gravemente colposi viene estesa anche al personale sanitario che svolge la propria prestazione in regime di libera professione intramuraria presso la struttura sanitaria.

     Uno dei profili certamente più innovativi riguarda il quantum della rivalsa, considerato che i commi 5 e 6 dell’art. 9 limitano l’importo massimo che può essere recuperato dalla struttura (il triplo della retribuzione annuale lorda). Assumono rilievo, inoltre, le eventuali situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica.

     Appare evidente la adozione di cautele mirate a limitare la responsabilità in capo ai sanitari. Peraltro, alle regole sostanziali citate, il legislatore ha affiancato precise disposizioni di taglio più spiccatamente processuale al fine di mitigare ulteriormente la responsabilità del medico nei suoi rapporti interni con la struttura.

     L’esperimento della rivalsa, infatti, presuppone la solutio in favore del paziente vittorioso in virtù di titolo giudiziale o stragiudiziale. Pertanto, la azione di regresso può essere esperita soltanto in un autonomo giudizio, rimanendo preclusa la chiamata in causa del medico nella causa avviata dal danneggiato nei confronti della sola struttura o dell’impresa di assicurazione. D’altro canto,ilcomma 3 prevede che la decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o contro l’impresa di assicurazione non fa stato nel giudizio di rivalsa se l’esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio; il comma 4 esclude la opponibilità al sanitario della transazione conclusa tra struttura e paziente danneggiato, cui il medico non abbia partecipato.

     Peraltro, “sarebbe stato, difatti, contraddittorio consentire alla struttura sanitaria di far valere nel giudizio di rivalsa contro il medico una sentenza di condanna pronunciata contro la struttura sanitaria in forza di un accertamento condotto secondo i canoni della responsabilità contrattuale. Gli oneri probatori cui è soggetto l’attore che procede ex art. 1218 c.c.78, abbandonati dalla riforma Gelli-Bianco unitamente alla tesi della responsabilità da contatto sociale qualificato, avrebbero finito per ritornare operativi in sede di rivalsa, vanificando la scelta di campo operata dal legislatore in tema di qualificazione della responsabilità[11].

     D’altro canto, il giudice della rivalsa deve verificare in autonomo e separato giudizio la responsabilità del sanitario alla luce dei criteri propri della responsabilità extracontrattuale, potendo accogliere la domanda promossa dalla struttura nei confronti del medico solo ove vengano riscontrati profili di dolo o colpa grave.

     Conclusivamente, alla luce di quanto sopra ritenuto in tema di litisconsorzio necessario e del disposto dell’art. 9 L. 24/2017 non dovrebbe essere consentita la chiamata in causa del sanitario responsabile da parte della struttura unica convenuta dal danneggiato

1 febbraio 2022

Avv. Maria Giovanna Cannatella


[1] Prima della Riforma, in merito alla qualificazione della posizione giuridica della struttura sanitaria, pubblica o privata che fosse, l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità sosteneva che l’ingresso del paziente nella struttura determinava la conclusione di un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (definito contratto di spedalità o di assistenza sanitaria). In forza di tale contratto, l’ente ospedaliero era titolare di una obbligazione complessa, consistente da un lato nella somministrazione di cure medico-chirurgiche, attraverso la messa a disposizione di personale qualificato, medicinali ed attrezzature, e dall’altro in un’ampia ed eterogena serie di prestazioni accessorie, lato sensu alberghiere. L’art. 7 L. 24/2017, sulla “Responsabilità della struttura e dell’esercente la professione sanitaria” prevede che, in caso di danno cagionato al paziente, sorge una responsabilità della struttura per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., quando i danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero ex art. 1228 c.c., ove siano da ascrivere alla colpa dei sanitari di cui essa si avvale.

[2] “è stato correttamente osservato che l’istituto, a differenza dell’accertamento tecnico preventivo preventivo, pare configurare una prova “in luogo del processo” e non “prima del processo”, o “in vista del processo”, evidenziando con ciò il carattere non strumentale rispetto al successivo grado del giudizio di merito e, diversamente, la funzione eminentemente conciliativa cui l’istituto è finalizzato” (Trib. Siracusa, sez. II, 14.06 .2012, RCP, 2012, 4, 1373)

[3] Trib. Ravenna, 27.0.2016, www.ilcaso.it;

[4] “nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, di cui all’art. 696 bis c.p.c. il cui esperimento costituisce confizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria, sono parti necessarie tutti i soggetti che il ricorrente prospetti come obbligati, compreso l’esercente la professione sanitaria autore della condotta illecita, anche se dipendente della struttura, nonché quelli che possono partecipare all’eventuale giudizio di merito” (Trib. Verona, 17.5.2018).

[5] Protocollo 114/2021 del Tribunale di Marsala

[6] “altro motivo di inammissibilità va poi colto in relazione alla domanda proposta nei confronti della assicuartrice della responsabilità civile verso terzi della ULSS (Trib. Treviso ord. 21.3.2018)

[7] Ai sensi del comma 4 dell’art. 8 la partecipazione al rpocedimento di consulenza tecnica preventiva di cui al presente articolo, effettuato secondo il disposto dell’articolo 15 della presente legge, è obbligatoria per tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione di cui all’articolo 10, che hanno l’obbligo di formulare offerta di risarcimento del danno ovvero comunicare i motivi per cui ritengono di non formularla” Trib. Cagliari, ort. 24.1.20158; conforme Trib. Cagliari, ord. 9.2.2018)

[8] GIOVANNI RAITI, Professore associato nell’Universita` di Catania, in  Rivista di Diritto Processuale, n. 1, 1 gennaio 2020, p. 219

[9] secondo alcuni – nel ricorso ex art. 696-bis c.p.c. per l’accertamento della responsabilità sanitaria non sempre il Giudice dovrebbe autorizzare la chiamata di terzo, la quale sarebbe senz’altro ammissibile se funzionale al coinvolgimento dell’assicuratore della struttura sanitaria ma non anche quando questa miri ad estendere il contraddittorio nei confronti dei medici ritenuti responsabili, e ciò tenuto conto del fatto che una molteplicità di chiamate in causa comprometterebbe il termine perentorio, ma anche della circostanza che la legge delinea in prima battuta la responsabilità della struttura e che l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti dei sanitari può avvenire nei limiti stabiliti dall’art. 9 l. n. 24/2017 (TASSONE S., CTP ex legge Gelli: riflessioni sull’applicazione dell’istituto in base all’esperienza della IV sez. civ. del Tribunale di Torino, in Ridare 5 settembre 2019; AMIRANTE V., La consulenza tecnica preventiva e la nuova condizione di procedibilità: disciplina, tempi, soggetti, in Ridare.it 18 luglio 2017).

[10] . Cassazione Civile, Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28987 – Pres. G. Travaglino – In tema di azione di rivalsa nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all’utilizzazione di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione.

[11] . in “Danno e Responsabilità”, n. 3, 1 maggio 2021, p. 292 – Commento alla normativa di Maria Paola Gervas

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