Una chiacchierata con Nunzio Papotto, un artista selvaggio quanto espressivo
Ho avuto modo di conoscere Nunzio Papotto, durante un happening in un ristorante del catanese, la conversazione che ne è derivata è frutto della mia personale curiosità nei confronti di un uomo disponibile e sensibile. Un’impressione che ho confermato attraverso un dialogo aperto, senza troppi fronzoli, selvaggio come lui ama definirsi, perché l’autenticità della sua persona è un marchio di fabbrica e le sue parole sono spontanee e veritiere. Quando lo si guarda dipingere pare che abbia il dono di saper catturare l’anima di chi ha di fronte, una restituzione generosa di un occhio attento, allenato da una grande sensibilità.
Parlare con lui di umanità è stato naturale ed il dialogo è iniziato con un suo scritto sulla libertà… “Libertà perduto sentimento l’assapori dolcemente non la consumi. La tieni stretta. Ti servirà. Ti sentirai leggero Vana è l’effimera falsa conquista. La tieni stretta ed hai già vinto”.
Per Nunzio Papotto, il pericolo più grande per l’Umanità è proprio la mancanza di libertà; soggetta com’è al Dio denaro “la gente si vende anche per niente pur di ottenere qualcosa”. Sarebbe bello, ci dice, che fin dalla scuola materna, fin da bambini, si trasmettesse la grande importanza di questo valore e si facesse capire quanto immense possono essere le soddisfazioni che coltivare la libertà può dare.
Un mondo “in cui bisogna vincere a tutti i costi e dove si sgomita e si passa sul corpo degli altri pur di vincere “è un mondo privo di umanità ma lui, citando Pasolini, sottolinea di “accontentarsi del suo Sacro Poco, la vera vittoria si conquista in accordo alla coscienza”. In realtà la sua preoccupazione è verso un male dilagante, che non riguarda i più fragili, piuttosto quei finti colti che spesso detengono il potere.
La sua è una riflessione amara “perché il valore della Libertà si dovrebbe insegnare prima che agli alunni ai tanti insegnanti e i rettori universitari corrotti qualcosa in merito ci dicono”.
Un processo inarrestabile, ieri come oggi, il denaro schiaccia e domina qualsiasi altro valore.
Pasolini che lui cita e che ha avuto la fortuna di incontrare e di vivere per tre giorni, proprio qui nella nostra città, è stato quel valore aggiunto che l’umanità è in grado di raccontare. Lo spessore culturale e la libertà di essere, il rispetto per gli altri sono quei valori che rendono un uomo, un grande; Pasolini ha rappresentato uno di quegli incontri che segnano il cammino, che dettano le coordinate per non deragliare.
Per Nunzio, anche l’incontro con Paolo Conte ha avuto lo stesso significato, sente di doverlo ringraziare perché con la sua musica ha iniziato a dipingere. Se riesci a penetrare il senso della Musica potrai liberarti da tutte le miserie in cui si trascinano gli altri Uomini, la citazione di Ludwig Van Beethoven che condivide con noi, dà la misura di cosa rappresenti per lui la musica.
La musica che” lo smuove, lo emoziona, lo commuove, lo rende felice e lo riesce a fare sentire in sintonia con quello che fa”. D’altronde le parole della canzone A muso duro di Pierangelo Bertoli, con cui si identifica raccontano la storia di un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro; tramite la sua pittura conduce la sua battaglia per un’umanità più selvaggia e la musica lo accompagna come una fedele alleata.
Da quello che si avverte, per lui la musica ha un’azione maieutica e taumaturgica allo stesso tempo, una stampella emotiva che lo supporta nel processo creativo, fungendo da stimolo. Oggi la colonna sonora per la sua arte spazia da Chet Baker a Billie Holiday, da Dina Washington a Nina Simone.
Nunzio non sa se è un artista o un uomo generoso, ma sa che quando riesce ad esserlo sta meglio, sa che in fin dei conti non esiste un confine fra la vita e l’arte, perché “l’Arte è espressione della nostra vita, delle esperienze vissute, del proprio sapere che non si acquisisce solo dai libri”.
Il confine fra arte e vita è sfumato, fino a non esistere “perché quello che fai ti assomiglia, se sei vero anche quando cerchi di fare arte. Prima di essere Artista sei Uomo”. I dubbi possono essere insistenti, come i momenti di scoramento e ci racconta che gli è capitato di andare a vendere i propri pezzi “nei posti più impensabili, anche ai mercatini delle pulci, per portare la spesa a casa”. Grazie all’amore per quello che si fa, grazie al rispetto per la propria verità, le difficoltà si superano. Questo è il suo unico lavoro, vive di questo e “se fare l’artista nel mondo è difficilissimo, in Sicilia ancora di più”. Nelle sue parole” iu mi rugnu vessu sia per la famiglia e sia per poter continuare a fare quello che amo”, c’è il segreto di una passione sincera e di una vocazione mai sconfessata.
La nostra chiacchierata si è conclusa parlando dell’incedere del tempo. L’incipit che ci regala stavolta è di Leo Ferré Avec le temps tout sen va. Il tempo è inesorabile. Nunzio dice “che fa diventare grigio ciò che era fulgido, splendido. Non possiamo farci niente”. Se guardando vecchie riviste possiamo essere colti da un moto di malinconia, i grandi Uomini restano con le loro opere, un passaporto per l’eternità, “un modo per fregare la vecchiaia e la morte. Lasciare una traccia indelebile e che sia buona. Una traccia che sia eredità per i propri figli e per gli altri”.
Nunzio ci lascia con un’immagine che mi piace utilizzare per concludere anche questo che è stato un resoconto di un’anima onesta che si racconta.
Si tratta della scena dell’Attimo fuggente in cui l’insegnante (Robbie Williams) fa vedere agli alunni la foto degli Allievi che cento anni prima avevano frequentato lo stesso college e dice loro, quasi sospirando: “Vedete questi ragazzi hanno la stessa luce dei vostri occhi che esprimono gioia, voglia di vivere e tanta speranza. Adesso non ci sono più. La vita è breve è un attimo. Rendetela straordinaria”. Come dice lui provarci è quasi un obbligo morale, uno sprone ad essere noi stessi fino in fondo.