Jago the exibition, a Roma, al palazzo Bonaparte la mostra dedicata al Michelangelo 3.0 dal 12 Marzo al 3 Luglio 2022.
Jacopo Cardillo, conosciuto come Jago, classe 1987, è il protagonista di una grande mostra, la prima a lui interamente dedicata, all’interno di una location austera ed elegante, Palazzo Bonaparte a Roma.
Jago si è dimostrato da sempre capace di muoversi con dimestichezza fra passato e futuro, guadagnandosi il titolo di “social artist”, la sua arte è potente come lo è la tradizione da cui attinge, ma le sue indiscusse capacità comunicative e l’uso sapiente dei mezzi di comunicazione, dei social in particolare, lo vedono un uomo dei nostri tempi, capace di diventare oggetto di culto per molti giovani che si affacciano incuriositi al mondo dell’arte, con le stesse modalità con cui seguono i vari idoli che si alternano su Instagram.
In questo, Jago è rivoluzionario, come lo è la maestria delle sue creazioni; la curatrice della mostra Maria Teresa Benedetti ci accoglie con un video di presentazione e siamo già dentro un universo simbolico che guarda al nostro tempo con lungimiranza.
Jago è un artista, ma è un artista contemporaneo.
Fra le opere spicca il busto del Benemerito Benedetto XVI, un’opera diversa da quella presentata su indicazione di Vittorio Sgarbi, alla biennale del 2011.
Il titolo dell’opera “habemus hominem”, vuole raccontarci la fragilità dell’uomo, una verità celata da un latente sorriso che si insinua fra le rughe.
Quest’opera, per Jago deve pulsare di vita, e vivendo nel tempo subirà dei sostanziali cambiamenti. A seguito dell’abdicazione, assisteremo ad una vera e propria spoliazione che troverà nel suo scalpello, un fedele alleato. Ciò che emerge è l’uomo, anziano e stanco.
Jago ha ben presente l’immaginario classico, ed anche quando appare quasi dissacrante, come nel caso della Venere, opera del 2018, riesce a trasmettere un messaggio drastico, ma sincero.
L’artista mostra la verità di una caducità reale, di una bellezza sfiorita che fa eco alle foglie di Minnermo, tutto è transitorio e riflettere sul valore simbolico della bellezza è una sollecitazione sana a cui lo spettatore è costretto a soccombere.
La sua arte è d’impatto e nella Pietà, opera ultimata dopo 16 anni, nel 2021, l’immagine del padre fa da specchio alla fotografia di Manu Brabo, scattata ad Aleppo ed esposta in sala.
Sono anche i padri a piangere i figli, gli archetipi si interfacciano per arricchirsi di significati nuovi.
Si palesa il dramma, senza farne ostentazione. Crudo, diretto, senza fronzoli, come la sua arte vuole, perché chi scolpisce, toglie per arrivare al nocciolo, all’essenza delle cose.
La stessa veridicità, la riscontriamo in ogni piega del figlio velato, opera del 2019, in cui la speranza si miscela al dolore, un’overdose di emozioni che può cogliere impreparati.
Interessante è anche l’installazione del 2017, che prede il nome di Apparato circolatorio, dove l’iperrealismo si traduce in una struttura in argilla, elaborata al computer, dalla quale otteniamo l’animazione in 3D che riproduce fedelmente la frequenza cardiaca.
I battiti del cuore sono espressione di vita ed ogni opera di Jago rappresenta con onestà la vita, con tutte le sue sfumature di senso; l’installazione ci racconta il genio dell’artista, ma anche la profonda verità del suo essere un uomo.
Nella logica della condivisione che ha sempre contraddistinto la sua arte, Palazzo Bonaparte diverrà, per i mesi dell’esposizione, uno studio d’arte dove Jago lavorerà alla sua prossima opera e dulcis in fundo vi sarà anche la possibilità di poter assistere alla mostra, con una guida d’eccezione, ovvero lo stesso artista.
Anche in quest’occasione la sua immagine di artista social si conferma e nonostante i voli pindarici che le sue opere ci permettono di fare, la connessione con la realtà dell’hic et nunc, ci consente di sentirla un’arte a misura d’uomo, sempre e comunque.