Processo a Socrate parte seconda

di Emanuele Maria Pinto

Tutto comincia una mattina di primavera. Socrate raggiunge l’ Agorà, a piedi, e si dirige verso l’ Eliea, il massimo tribunale popolare di Atene, per alcuni prende il nome da Elios il dio del sole, perché i processi cominciano allo spuntare delle prime luci dell’alba .

DEMAGOGHI

Ad attenderlo 500 giudici, una folta folla perché il filosofo era conosciutissimo in città , e i sui tre accusatori: Mileto, Anito, Licone.
Mileto, il giovane dai capelli lunghi e il naso adunco, Anito, il burattinaio che muove i fili nell’ ombra mosso da risentimento personale, noto e ricco conciatore di pelli entrato in conflitto con suo figlio, seguace di Socrate e suo amante che non vuole seguire le orme paterne ed ereditare le redini della ricca arte di famigli. Licone infine, abile oratore e demagogo, pare abbia avuto il compito nei mesi precedenti al processo di animare la folla contro Socrate parlandone male.

DIALOGO MAIEUTICO E DOTTRINA DEL NON SAPERE

Si comincia con l’ arringa dell’ accusa, che non ci è pervenuta, si conosce invece la difesa di Socrate grazie a due fonti illustri, l’ apologia di Platone e l’ apologia di Senofonte, che comincia appena Socrate prende la parola:
“Non so Ateniesi che impressione vi abbiano fatto i miei accusatori, io ascoltandoli mi sono quasi dimenticato di me stesso da quanto parlavano bene, eppure, quasi tutto quello che hanno detto non è vero. “

QUALI ACCUSE GLI VENGONO MOSSE


I capi di accusa vengono affrontati uno ad uno argomentando punto per punto, si parte dal corrompere i giovani per passare al non credere alle divinità della città. In uno dei passaggi più famosi dell’ apologia Socrate parla del suo daimon, di questa voce interna che lo guida e che sente da quando era ragazzo e che con la nostra idea di demonio non ha niente a che vedere, lui stesso la definisce una voce che gli impedisce di fare una cosa nel momento in cui pensa di agire in una certa direzione ma mai che lo abbia spinto “a fare”:
“È questa voce che mi impedisce di fare politica , e a ragione perché tenetelo presente Ateniesi, se in passato mi fossi buttato in politica sarei morto da un pezzo. “

DISCORSI DALL’APOLOGIA


Questo attacco frontale al sistema, come a voler dire: io che mi sono sempre occupato del giusto e dell’ etica della vita, se mi fossi immischiato con il sistema sarei stato ucciso da voi, che vi muovete per interessi personali . Questo viene percepito dalla folla e non depone a suo favore, per la giuria è colpevole, 280 voti contro i 220 per l’ assoluzione, numeri comunque importanti tant’ è che anche l’ imputato stesso se ne stupisce. Poi si dibatte sulla condanna, l’ accusa compatta chiede che venga messo a morte, Socrate come contro pena chiede di essere mantenuto a vita a spese dello stato, ennesima provocazione, la giuria vota e i colpevolisti aumentano 360 contro 120, morte con la cicuta, è quasi il tramonto, il processo è finito:
“È già ora di andare, io a morire voi a vivere, chi di noi però vada verso il meglio è cosa oscura a tutti tranne che al dio” 

FINALE MORENTE, PENSIERO IMMORTALE


Dalla fine del processo Socrate deve soggiornare in carcere, la condanna non può essere eseguita a causa di un pellegrinaggio all’ isola sacra di Delo. Socrate sarà attorniato dai sui seguaci per tutto il tempo, cercheranno di convincerlo a scappare ma lui si rifiuta categoricamente. Il giorno dell’ esecuzione tutti i suoi amici sono lì, disperati , lui sembra tranquillo, berrà la cicuta e spirerà. Socrate e l’ esempio per cui una legge dello stato, per quanto possa essere ingiusta, essendo legge va rispettata fino alla fine. Socrate il filosofo, il grande maestro, con lui la filosofia prende quello slancio infinito che durerà nei secoli avvenire, tutto quello che si sa sul suo conto però ci è arrivato dai suoi allievi , non solo massime di vita e filosofia .

IRONIA SOCRATICA

La seconda moglie di Socrate ci è stata raccontata come una donna scorbutica e dal carattere irascibile . Si racconta che un giorno Socrate si stava intrattenendo con i suoi allievi e lei voleva che concludesse assolutamente delle faccende per la casa e che lo interrompesse ogni dieci minuti. Alla fine si presentò con un catino pieno d’ acqua e imprecando lo rovesciò addosso al marito inzuppandolo. Socrate guardò i suoi allievi scioccati esclamando:


Tanto tuonò che alla fine piovve.

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