Nuove forme di dipendenza: i videogame e gli effetti dopanti sul cervello dei più piccoli

Colorati, interattivi, accattivanti e graficamente perfetti, i videogames sono delle vere e proprie trappole immersive, giochi di competizione che eludono la dimensione del corpo, spesso con conseguenze devastanti sul fisico, stravolgendone ritmi e pulsioni biofisiche. 

Al di là della spiacevole conseguenza di stare troppo tempo con gli occhi fissi sullo schermo, ragazzi e videogames possono essere un pericoloso incastro che allontana dalla realtà, un’alienazione che non può non avere effetti sul cervello.

I videogames sono dei veri dopanti, che incitano ad un continuo miglioramento delle proprie performances. L’effetto dopamina si traduce in una pericolosa dipendenza e come tutte le dipendenze ha delle conseguenze che vanno da una sensazione di affaticamento, un’inedia che porta a non fare, fino a forti emicrania dovute alla prolungata concentrazione e alla sindrome del tunnel carpale per l’uso eccessivo del mouse.

Si può arrivare ad eccessi di trascuratezza personale, perché il tempo è una variabile funzionale solo a risultati da schermo; la vita, quella vera, diviene irrilevante.

Non sempre il gaming è patologico, ma quello che deve preoccupare è quell’effetto dopamina che crea assuefazione ai videogames, diversi studi scientifici sostengono che più un giocatore diventa bravo, più i livelli di dopamina aumentano ed è questo che crea dipendenza, con conseguenti problemi degli stimoli sul cervello.

La dipendenza patologica da videogiochi è stata inclusa nella più recente versione del DSM-5 nella “Section 3”, dedicata alle condizioni che necessitano di ulteriori studi ed approfondimenti e va distinta dall’Internet addiction o dal Gambling disorder, che implica l’uso di soldi per giochi differenti dai videogames.

Perché esista una vera e propria diagnosi occorre che la dimensione relazionale del ragazzo venga del tutto compromessa e che l’uso del gioco venga utilizzato come un vero e proprio sedativo di stati di ansia o situazioni di disagio emotivo in generale.

Il videogame in quest’ottica diventa la panacea di tutti i mali, soprattutto perché nei bambini e negli adolescenti non scattano quei meccanismi di razionalizzazione che tutelano o dovrebbero tutelare un adulto.

I nativi digitali, neocorticali per evoluzione della specie, vengono cognitivamente agganciati da questo tipo di stimoli e come ogni dipendenza da gioco e non, la serotonina che viene prodotta dalla soddisfazione del risultato, compensa delle lacune e delle mancanze di tipo affettivo e comportamentale.

Delle droghe che agiscono indisturbate, perché meno facilmente individuabili come tali.

Per un bambino o per un adolescente canalizzare determinati impulsi emotivi diventa difficilissimo, smettere di giocare è solo una fonte di frustrazione a cui non sanno dare una spiegazione.

Spetta dunque agli adulti tutelare queste realtà più fragili, adulti che devono o dovrebbero essere in grado di osservare e soprattutto ascoltare questa forma di disagio, cogliendo sfumature e ponendosi sempre come custodi del benessere dei più piccoli.

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Marilena Sperlinga

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