Italia sospesa tra emergenza sanitaria e assistenza domiciliare

Stamattina ho impiegato circa un’ora e mezza per pagare un bollettino all’ufficio postale di Aci Castello, stante che le misure di sicurezza per contenere il contagio da COVID-19 hanno ridotto il servizio postale a tre volte a settimana e solo di mattina. Mentre attendevo il mio turno ho riflettuto di essere tutto sommato fortunata a riuscire ad assolvere i doveri sulle mie gambe. Non per tutti è così: penso agli anziani, alle persone malate; e cosa dire di chi ha perduto il reddito da lavoro e non può contare sui servizi caritativi sino alla fine di questa emergenza sanitaria nazionale? Ebbene, l’Italia mi ha stupito per la capacità di non lasciare indietro le fasce deboli. E non mi riferisco soltanto alle regioni del produttivo Nord-Est Italia, penso anche al Mezzogiorno dove ogni Comune ha attivato numeri telefonici per richiedere la consegna a domicilio di spesa e farmaci. Ecco di seguito l’esempio di tre città siciliane.
Catania:
Assistenza ai senza fissa dimora (homeless): numero di telefono 380-7720122
Consegna spesa e farmaci a domicilio: numero di telefono 800 082834 o 3281211665
Distribuzione prodotti alimentari freschi (latte, formaggi, carne, ecc.) presso l’Emporio Solidale, ogni giorno in via Luigi Sturzo 91 dalle ore 12 alle 14; alle famiglie sono riservati i giorni di martedì e venerdì dalle ore 16 alle 19.
Noto:
Le famiglie in quarantena obbligatoria e fiduciaria ricevono a casa un pacco spesa con i beni di prima necessità messi a disposizione dalla Bottega Solidale, contattando i numeri telefonici 329.3930160 o 327.6661200.
Palermo:
l’amministrazione comunale recluta, attraverso l’email assessoratoattivitasociali@comune.palermo.it, volontari disponibili a svolgere attività di assistenza non sanitaria (consegna di spesa e farmaci).
Se l’emergenza per i servizi necessari è ben governata, lo stesso non può dirsi sul piano dell’emergenza sanitaria.
“Dopo quasi un mese di gestione di questa crisi, senza precedenti appunto, manca ancora l’essenziale, dai tamponi alle banali mascherine protettive, a ogni altro presidio sanitario, mentre numerose categorie di malati, per sopperire alla carenza di strutture ospedaliere e di operatori medici e paramedici nelle aree più congestionate dal contagio, vengono lasciati di fatto a sé stessi, spesso senza cura – commenta lo storico Carlo Ruta, scrittore di punta di Edizioni di Storia -. Quanto ci vuole per porre fine a questo caos italiano a cielo aperto? John Rawls diceva che il governo di un paese bene ordinato, cioè civile, è legittimato a concepire la disuguaglianza solo in un caso: quando si tratta di assicurare pienezza di diritti ai più svantaggiati. In Italia, i più svantaggiati in questo momento sono diventati invece gli agnelli sacrificali. E peseranno come macigni nella coscienza di chi aveva e ha il dovere di prevenire e di fare il possibile per scongiurare il peggio”.
Cosa dovremmo fare per affrontare al meglio l’emergenza sanitaria e dare risposte efficaci alla domanda di assistenza sanitaria? Domandiamo a Carlo Ruta, e lui risponde. “Ritengo che ci possano essere ancora atti importanti, con la consapevolezza comunque che siamo arrivati davvero all’ultima spiaggia. Anzitutto, credo che sia utile tornare alla differenziazione delle aree, e alla decretazione, per quelle più colpite, nel Nord, dell’arresto di ogni attività. Si lascino operare, in queste province, solo gli avamposti sanitari. Si faccia presto a potenziarli, a moltiplicarli, a porli in sicurezza, e si congelino anche parti dei settori strategici. E, dal momento che è mancata l’azione solidale di altri paesi, è importante che sia l’altra Italia a farsi carico di tutto quel che occorre, attivando in pochissimi giorni un’industria dell’emergenza, nell’Italia centrale e nel Sud in particolare, in cui il contagio non manifesta ancora un andamento parossistico.
Si riattivi in sostanza la vita delle aree del Paese in cui la situazione appare ancora gestibile, perché il blocco rischia di risultare, nel presente e in prospettiva, estremamente dannoso. Qui non si tratta di chiudere, come si sta facendo, ma di riconvertire con urgenza, attivare appunto un’industria dell’emergenza, mettendo in campo tutte le energie possibili. E in questo caso sì che la storia offre degli esempi: come quello, davvero luminoso, delle donne di Cartagine, che nel 146 a.C., quando la città nordafricana era allo stremo, all’unisono sacrificarono tutto, perfino i loro capelli, per ricavarne cordame, necessario per la difesa, ormai disperata, delle mura. Non servì a nulla contro gli assedianti di Scipione Emiliano, ma quelle donne ci provarono.
Pensiamo ancora alla resistenza. Pensiamo alla rivolta del Ghetto ebreo di Varsavia. Ricordiamoci dell’Italia del «fischia il vento». Siamo o non siamo i figli e i nipoti di quella generazione? Dimostriamo di esserne degni e ci si muova.
Vanno emergendo prodotti antivirali già in uso che, impiegati nelle terapie contro l’infezione, stanno dando frutti. Sulla base di ciò si istituisca allora, con urgenza, in due-tre giorni, e non di più, un protocollo di cure. Si levi la voce dell’Italia che «sventola sul ponte bandiera bianca», perché si crei, subito un organismo tecnico internazionale, di scienziati e medici, per l’approntamento di un vaccino in tempi rapidi, possibilmente entro l’estate. Si provveda a dotare l’intero paese di presidi sanitari, subito. Si provveda a sanificare tutti gli ambienti, le scuole, gli uffici pubblici, i luoghi di ritrovo e di socializzazione, subito. Si chiedeva Kennedy se ci fosse un giudice a Berlino. È ora di chiedersi perché in questo momento non si levano a sufficienza voci alte e influenti, come, un tempo, quelle di Bertrand Russell, Piero Calamandrei, Giorgio La Pira, Albert Einstein, Benedetto Croce. Possibile che l’Occidente, che ha creato tutto, che ha inventato tutto, che si è sentito fino ad oggi padrone di tutto, debba votarsi alla catastrofe, morale oltre che materiale? Possibile che l’Italia resti, a fronte di tutto questo, attonita e spaesata?”.

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