Le Lacrime di Giobbe

Image by Massimo Vittorio

Tra le silenziose mura dell’Eremo di Sant’Anna ancora oggi continua una tradizione secolare. Luogo ameno, intriso di esperienza spirituale, di fede e di laboriosità, l’Eremo di Sant’Anna si erge in una posizione privilegiata godendo della vista del mare dei Ciclopi e del monte Etna. Un luogo ricco di spazi fioriti, di pergolati, agrumeti e vigneti, antiche mura dove ancora vige la regola “ora et labora”. Oggi, a distanza di quasi tre secoli dalla fondazione dell’Eremo da parte del suo padre fondatore Fra’ Rosario Campione (giunto sul luogo dove sorgeva una piccola chiesa dedicata a S.Anna), quando si gira in silenzio tra i bui corridoi, tra le piccole celle, sembra ancora sentire le preghiere degli eremiti alternate da gesti antichi e ripetuti per secoli, in tutta la loro semplicità. E pare vedere i frati muoversi, con il loro passo lento, nell’area adiacente lungo il viale dei cipressi, in prossimità della cappella cimiteriale dei frati, tra le verdi foglie di arbusti alti circa due metri.  Questa è la visione che si riporta alla mia mente quando vedo un semplice gesto, fatto con cura, con amore e pazienza: la raccolta dei semi delle Coix Lacryma-Jobi meglio note come “le lacrime di Giobbe”. Circa nove mesi fa, casualmente, mi sono imbattuto in un progetto fotografico riguardante l’Eremo di Sant’Anna in cui ho cercato di descrivere, attraverso 14 foto (quante il numero delle Stazioni della Via Crucis), il mio punto di vista su questo luogo provando a “cogliere l’essenziale, il fascino delle cose non solo con il vedere degli occhi ma sentirli intensamente con il cuore” – come ha scritto don Salvatore Coco alla presentazione della mostra-. Girando tra i viali dell’Eremo, mi sono imbattuto in uno spazio ricco di arbusti colmi di foglie verdi con dei piccolissimi semi di colore verde. Ho incontrato per la prima volta nella mia vita le “Coix Lacryma-Jobi”, una pianta appartenente alla famiglia delle graminacee di origine asiatica. Può raggiungere un’altezza di circa 1,5 m. I suoi semi hanno una forma molto caratteristica ed ovale che variano dal verde, al viola, a sfumature di marrone, che ricordano delle gocce. Tali semi, tra i popoli asiatici, vengono utilizzati per la preparazione di liquori o distillati, bevande calde o fredde. Da un punto di vista nutrizionale, una delle principali caratteristiche di questo “cereale minore” è l’assenza di glutine e la ricca presenza di oli e proteine essenziali. Le proprietà benefiche di questi semi non sono solo alimentari. Da un’antica tradizione monastica, questi semi vengono utilizzati per dare vita a originali coroncine dei Rosari e quindi hanno delle proprietà benefiche per lo spirito dell’uomo. Così all’Eremo di Sant’Anna, da tempo immemore, i frati si sono dedicati alla semina e alla raccolta dei semi di queste graminacee per poi essiccarli e creare le coroncine dei Rosari che donavano alle nobili donne in visita. E oggi, come allora, a continuare questa antica tradizione, con pazienza e passione, ci pensano i sacerdoti che si prendono cura dell’Eremo (aiutati da un gruppo di volontari). Seguire da vicino il processo di lavorazione della costruzione delle coroncine del Rosario è stata un’esperienza straordinaria, osservare in silenzio i vari passaggi, tutti gestiti con delicatezza e in religioso silenzio, fa rimanere incantati. Vedere con quale cura e attenzione vengono selezionati i semi è affascinante, ognuno di loro diventerà un “grano” che unendosi agli altri diventerà inno di lode per la Vergine. Tutti i passaggi sono seguiti meticolosamente dai sacerdoti che avendo ormai acquisito un’eredità importante, mettono tutto l’impegno possibile. Un lavoro che nella sua semplicità richiede pazienza, prima, durante e dopo. Non si ha la certezza del perché questi semi abbiano assunto il nome di “lacrime di Giobbe”, sicuramente la forma a goccia ne può facilitare la comprensione e, probabilmente, il riferimento al Patriarca deriva dalle sue sofferenze patite. Ma Giobbe è famoso pure per la sua proverbiale pazienza, che lo ha contraddistinto nel sopportare quanto accadutogli durante la sua vita. E di pazienza, assistendo alla lavorazione delle coroncine, ce ne vuole davvero tanta, ma il risultato finale che si ottiene è straordinario. Ogni grano, dopo una meticolosa selezione (per colore, dimensione), già naturalmente forato, viene ripulito internamente. Si passa quindi ad inserire un filo di cotone (pare che un tempo si utilizzasse anche il fil di ferro) e si inizia la costruzione. Si fanno dei nodini, si utilizzano delle forbicine e poi con un accendino si toglie il filo superfluo. Così grano dopo grano la coroncina prende forma, 53 grani rappresentano le preghiere dell’Ave Maria e 6 rappresentano le preghiere del Padre Nostro, alla fine il Crocifisso. Si è pronti per la benedizione, affinché chi possegga la coroncina possa essere protetto e possa impegnare il proprio tempo a recitare il Rosario. All’Eremo ogni luogo si presta per le preghiere, tra i corridoi o all’interno delle celle, tra i viali e, ovviamente, in Chiesa dove prima di accedere i frati, scendendo dal piano superiore, trovavano una incisione che invitava loro ad entrare in chiesa con un atteggiamento “umile, lieto e con fervore interno discendi al Tempio per lodar l’Eterno”.

Ringrazio di cuore don Giuseppe d’Aquino e don Enzo Calà per la loro cortese disponibilità, per avermi consentito di poter documentare fotograficamente un’antica tradizione che da circa tre secoli si svolge tra le mura dell’Eremo. Spero che il progetto fotografico, così come è stato pensato e realizzato, possa rendere il doveroso merito a chi esegue tale opera con tanta pazienza e amore. Io ho provato a raccontare una storia fotografica, certamente religiosa, ma soprattutto un racconto in cui ho cercato di far emergere attraverso sessanta foto una tradizione che si tramanda da secoli. Una tradizione che nel tempo ha visto modificare alcune azioni, alcuni strumenti, ma la pazienza resta immutabile e oggi, come allora, nel silenzio continuano a risuonare i grani che scorrono tra le dita e le labbra sussurrano le Ave Maria.

Di Massimo Vittorio

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