LA CASSAZIONE ASSOLVE IL CROCIFISSO IN AULA

Sarà il consiglio di classe a decidere “esporlo se deliberato”.

Lo ha stabilito la Suprema Corte, che nella sua composizione più autorevole – le Sezioni Unite – con la sentenza 24414/2021 pubblicata l’8 settembre 2021 ha chiarito definitivamente che il maggiore simbolo del cristianesimo può rimanere nelle aule  basta che a volerlo sia deliberato dalla comunità scolastica, la quale può anche decidere di accompagnarlo «con i simboli di altre religioni presenti in classe – così si esprime il comunicato stampa diffuso dalla Cassazione – e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi».

Il cristianesimo di cui è permeata la nostra cultura, anche laica, commenta Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, ha contribuito a costruire e ad accrescere nel corso dei secoli una serie di valori condivisi che si esplicitano nell’accoglienza, nella cura, nell’inclusione, nell’aspirazione alla fraternità.

Queste le parole espresse da monsignor Russo, i giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni, ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria. La decisione della Suprema Corte – aggiunge Russo – applica pienamente il principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, rigettando una visione laicista della società che vuole sterilizzare lo spazio pubblico da ogni riferimento religioso. In questa sentenza la Corte riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell’appartenenza, l’importanza del rispetto reciproco». Riservandosi un giudizio più approfondito dopo la lettura integrale della lunga e complessa sentenza, Russo osserva come sia «innegabile che quell’uomo sofferente sulla croce non possa che essere simbolo di dialogo, perché nessuna esperienza è più universale della compassione verso il prossimo e della speranza di salvezza.

La sentenza della Suprema Corte pronunciata l’8 settembre 2021 e pubblicata nei giorni scorsi precisa che «la laicità italiana non è “neutralizzante”: non nega le peculiarità e le identità di ogni credo e non persegue un obiettivo tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso, destinato a rimanere nell’intimità della coscienza dell’individuo. Ciò anche per via del fatto che «il principio di laicità – spiega la pronuncia – non nega né misconosce il contributo che i valori religiosi possono apportare alla crescita della società». Secondo la sentenza, dunque, esporre il crocifisso a scuola non è (più) un obbligo di legge, ma se le singole classi rappresentate dai loro organismi ritengono di farlo, la presenza del simbolo non può più essere tolta a piacere. Se non, ovviamente, con una successiva delibera.

La questione non è solo religiosa. Per la Corte infatti al crocifisso «si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo». Per questo, a maggior ragione, la sua affissione «non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione». Sotto il profilo prettamente giuridico, gli ermellini – come vengono chiamati i giudici della più alta corte italiana, per via della toga nelle occasioni più formali – ricordano innanzitutto come un regolamento degli anni Venti del secolo scorso, mai abrogato, avesse imposto la presenza del crocifisso nelle aule. «Ogni istituto – si legge in quel testo – ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re». È vero, allora il cattolicesimo era “religione di Stato”. Ma la Suprema Corte nella sentenza di ieri ha chiarito che la norma di un secolo fa è suscettibile di essere interpretata oggi in senso conforme alla Costituzione. In parole povere: se la scuola nelle sue varie componenti lo vuole, il crocifisso può e deve restare, perché «il venir meno dell’obbligo di esposizione – si legge in sentenza – non si traduce automaticamente nel suo contrario, e cioè in un divieto di presenza del crocifisso nelle aule scolastiche». Attenzione: se l’istituto, studenti compresi, decide di tenerlo, nessuno può toglierlo a piacere, come invece aveva fatto il docente da cui era scaturito il caso giudiziario.

A buon motivo perciò, negli anni 2008 e 2009 – ha stabilito la Suprema corte (sentenza 24414) – il dirigente scolastico di un istituto professionale di Terni il quale, aderendo alla decisione presa a maggioranza dall’assemblea degli studenti di una terza classe, aveva ordinato l’esposizione del crocifisso in quell’aula scolastica senza cercare un “ragionevole accomodamento” con la posizione manifestata da un professore dissenziente che, durante le sue lezioni, rimuoveva sistematicamente la croce, reclamando il rispetto della propria libertà di insegnamento e di religione. Tuttavia il professore dissenziente non poteva lamentare una compressione della sua libertà di religione – ha sottolineato la Suprema Corte – dal momento che il Crocifisso resta un simbolo passivo perché non implica alcun atto di adesione, e la libertà di insegnamento di un docente non ne rimane toccata.

Carmelo Santangelo

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